Una storia che, parlando di inverni e gelate, testimonia che nei secoli passati ci furono inverni talmente rigidi da congelare il fiume Tronto al punto di permettere alla gente di attraversarlo a piedi. L’ultimo di questi “grandi” inverni fu quello del 1929. Fioccava sulle terre arquatane e, l’improvviso, la sera si faceva magia. Nei villaggi di montagna, cresciuti intorno a vetusti campanili, calava il silenzio che solo la neve sapeva regalare. Sembrava di immergersi, come d’incanto, in un presepio ed in ogni casa fioche luci si facevano largo tra le imposte penetrando nell’oscurità esterna, tramutando i nostri paesi in una piccola Betlemme, racchiudendo le gioie, i dolori, le vicende piccole e grandi di ogni famiglia. Erano notti di profondo silenzio, le strade deserte attraversate di tanto in tanto da bestiole che camminavano sopra la neve e da qualche solitario passante che tornava dalla stalla. Nell’aria si dipanavano i profumi inconfondibili del fumo dei camini, della legna che ardeva, profumi antichi che parlavano di un tempo in cui le cose andavano, forse un po’ meglio anche se c’era tanta miseria. Perché in quei tempi chi dettava le leggi della vita era la “provvidenziale” natura sempre pronta a fornire il necessario per il mantenimento delle comunità. Di fronte al focolare corre, inevitabilmente il ricordo, specialmente ora che nelle SAE non l’abbiamo più, a tempi ormai passati. Tempi in cui gli inverni erano quelli veri, in cui le nevicate erano abbondanti e il clima rigidissimo congelava anche il fiume ed i fossi. Ricordo bene le nevicate straordinarie del 1985, quando le temperature scesero anche oltre i 20° sotto zero oppure la tempesta di neve del gennaio 2017 che sommerse tutto il centro Italia provocando la tragedia di Rigopiano. Ma per gli inverni, quelli veri, si deve andare ancora più indietro nel tempo. Ho avuto il privilegio di ascoltare i racconti dei più anziani, che in tante occasioni mi hanno parlato delle sere d’inverno passate davanti al focolare, in tempi in cui non c’erano le televisioni, né tantomeno i telefonini. Sere trascorse in famiglia, ascoltando le fiabe o pregando il rosario insieme. Per cena un po’ di polenta abbrustolita e poco altro. Come c’erano coloro che, per riscaldarsi passavano le serate nelle stalle, seduti tra il fieno e la paglia a scaldarsi con il fiato delle bestie, parlando del più e del meno, a raccontarsi storie e barzellette o giocando a carte. Qualcuno leggendo queste righe, forse non sa nemmeno di essere stato concepito in una stalla o in un fienile, ma a quei tempi accadeva anche questo. Oggi nell’era del progresso, in cui si gira il mondo in auto, si ha l’ imbarazzo della scelta su cosa seguire sui social o in televisione, si è creata molta più solitudine e anche fare i figli è diventata una cosa inconsueta. Come una rarità è la stessa neve che si fa vedere sempre più raramente ed anche questo è evidentemente un segno dei mutamenti climatici in corso, lo dice semplicemente la storia e di questo si deve fare tesoro sempre perché serve a vivere il presente ed a costruire il futuro. Come abbiamo detto, l’ ultimo “grande” inverno fu quello del 1929 ma ci furono situazioni in passato molto più siberiane o polari. Da alcuni scritti abbiamo dedotto che nel 1216 e nel 1234 un’ immensa ondata di freddo fece morire persone, animali domestici e selvatici, distrusse raccolti e alberi da frutto. Congelarono interi greggi di pecore e le fonti storiche raccontano di persone trovate morte assiderate nei loro letti. Sul finire del 1400, esattamente tra il 1481 ed il 1491 ci furono lunghissimi inverni. Altro inverno terribile fu quello del 1549 ma il più tremendo di tutti fu nel 1709, considerato tuttora il più rigido della nostra storia. Tra gennaio ed aprile quasi tutta l’Europa fu investita da un’anomala ondata di freddo che paralizzò anche l’alta valle del Tronto causando un elevato numero di vittime tra la popolazione. Perirono quasi tutte le piante da frutto. Roma rimase isolata per le intense nevicate e da lì partì un’ influenza, una vera e propria pandemia che insieme alla carestia fece una carneficina. Nel 1815, l’eruzione del vulcano Tambora in Indonesia, provocò nell’ emisfero settentrionale un “anno senza estate”, causa le polveri eruttive che oscurarono l’ atmosfera, vi furono inverni rigidissimi, carestie ed un’epidemia di tifo che provocò lutti in tutta la valle. Fu una delle peggiori catastrofi del diciannovesimo secolo. Nel secolo scorso, lo abbiamo già in parte detto, gli inverni più freddi furono quelli del 1929, del 1956 e del 1985. La storia, nel suo incedere, ci dirà se situazioni come quelle del passato torneranno, un breve ma disastroso esempio lo abbiamo avuto nel gennaio del 2017. Nel frattempo non resta che attendere la luce di un nuovo gelido giorno e l’arrivo, sul davanzale, del pettirosso e della cinciallegra in cerca di cibo rimpiangendo il fuoco del caminetto e lo scoppiettare della legna che arde.

” Il fuoco è l’anima di ogni luce e nella luce si avvolge”

Vittorio Camacci