A volte mi chiedo perché quelli come me battono i sentieri del passato facendo, così, emergere quello che è stato nella vita presente. Come ogni mito la Sibilla è fuori dal tempo e dallo spazio, è un sogno, un ragionamento, ma è anche una realtà intramontabile e inafferrabile. Possiamo ipotizzare che sia esistita davvero, probabilmente una sacerdotessa, come l’ antichissima Dea Orsa umbra, sciamana celtica che attraverso uno stato di trance viveva in contatto con il mondo sotterraneo, operando diagnosi e prognosi, che fosse interpellata non solo per prevedere ma anche per provvedere ai bisogni di intere comunità. Sicuramente all’ interno delle montagne, come il Monte Sibilla, esistevano antri dove la gente arrivava e poteva entrare, portando dei doni. Strutture articolate e complesse, spazi ipogei consistenti al cui interno operavano forme di sacerdozio femminile. Potevano essere vestali, come quelle della Dea Sicinna o Secina, ” le Sicinere”, di cui si è conservata a lungo la memoria, coagulandosi in leggenda popolare giunta fino a noi. Per capire tutto questo bisogna entrare nel regno dell’ invisibile, ma come si fa’? Secondo antiche credenze bisogna trovare ed inghiottire l’ osso in più che hanno i gatti neri. Questo ossetto magico, che fino ad una cinquantina d’anni fa si credeva esistesse solo nello scheletro dei gatti di tale colore, che altro non erano che streghe tramutate temporaneamente in tali animali scuri, rappresentava il dono dell’ invisibilità. La realtà è invece data dalla possibile simbolica entrata nel mondo arcano per agire e realizzare funzioni maieutiche. Sono mai esistite queste Sibille? La storia dice di sì, c’è una lunga tradizione in molti luoghi, continenti, paesi, regioni, una memoria che risale alla notte dei tempi, leggendaria, che fa emergere polvere dalla terra, dall’ aria, dall’ acqua e dal fuoco, una figura di donna saggia, senza tempo ma che nel tempo cammina, che ama la vita, la gente, raccoglie e custodisce la conoscenza. Che si tinge la faccia di carbone, come le antiche “masche” divinatrici marsicane capaci di incantare i serpenti da cui estraevano il veleno per scopi curativi. Sicuramente erano donne sagge che nemmeno la Chiesa ha potuto cancellare tanto che esse sono raffigurate nei dipinti delle pievi da autorevoli pittori, ritratte nella loro potente bellezza, nella consapevolezza di donne mature, nelle loro attività talentuose e miracolose. La Sibilla era colei che sapeva dare i consigli giusti, individuava i problemi e formulava soluzioni per l’ intera comunità, venivano ascoltate e tenevano unite le genti, avevano un’ importanza fondamentale nella vita dell’ intera collettività. Ogni Sibilla era un’ anticipatrice, perché sapeva, conosceva, faceva. Una figura di modernità che possedeva memoria del passato, garantiva il presente e costruiva il futuro grazie ai saggi consigli che emergevano dalle sue divinazioni. Le Sibille non erano streghe, come quelle che facevano ammalare i cavalli, li rubavano di notte, gli intrecciavano la criniera e li facevano galoppare fino allo sfinimento, oppure infilavano gli spilli nei pupazzi creati con la creta, la cera, la stoffa o le molliche di pane. Erano delle divinatrici che conoscevano le erbe benefiche, l’ arte di guarire le ferite o riacconciare i nervi e le ossa rotte, la loro sapienza era votata al bene ed alla pace. Fermavano in tempo le violenze e le male azioni, erano donne straordinarie. Ero ancora bambino, quando ho avuto l’onore di conoscerne una delle ultime. Una donna intera, autonoma, autoritaria che non portava i segni di adattamenti forzosi, di rinuncia a una parte di se stessa, di mortificazioni o violenze subite. Non conosceva la paura, l’inganno e la meschinità. Aveva conoscenze arcaiche e le usava bene, non per sopraffare ma per aiutare l’intera comunità, in maniera dolce e femminile, diversa ed opposta al potere patriarcale e guerriero. Era cristiana, andava in chiesa e non temeva il prete, parlava di una legge universale di giustizia, che riequilibrava le buone e le male azioni, tra la vita e la morte. Questa legge per lei aveva un nome, la chiamava ” Lu Perigne” e quando pronunciava questo nome si faceva il Segno della Croce pronunciando la formula: ” Per Omnia Saecula Saeculorum”. Questa donna preziosa, aveva anche avuto un marito, un pastore dal volto bruciato dal sole e dal vento che portava sempre un cappello di feltro a larga tesa sopra un viso mite e riflessivo dal quale non traspariva mai un’ emozione. Tutti dicevano che era fortunato perché aveva in casa una donna importante, che non gli faceva mancare nulla, una divinatrice magica e misteriosa, esperta e piena di buon senso che con un’ attenta capacità d’osservazione percepiva gli atteggiamenti, i gesti, le espressioni, le tensioni, gli sguardi, i movimenti minimi delle labbra, delle mani delle persone rilevando impercettibilmente nei loro corpi l’ onda dei pensieri e delle emozioni. La sua scienza medica era frutto di una secolare accumulazione di esperienza e di esperimenti tramandatisi nella sua famiglia da madre in figlia per secoli. Metteva a posto fratture e lussazioni con massaggi e “chiarate” miste a fuliggine e bende. Guariva ustioni e ferite infette con erbe medicinali. Sapeva preparare decotti, pozioni e impiastri per varie malattie, calmanti per l’insonnia, tisane per la pressione alta, colliri per gli occhi e tante altre cose. Quando morì venne presto dimenticata e con lei scomparve un’ immagine di donna energica ed umana che non ho più visto in vita mia.

        Vittorio Camacci