C’è vento forte oggi, scende verso la valle del Tronto come ogni volta che cambia il tempo, soffia per portar via le nuvole che pian piano si fanno lontane lasciando il posto al sole. Sono seduto sulla veranda della SAE a godermi questo spettacolo cercando con lo sguardo le linee delle vie sulle pareti del Vettore. Ho questa abitudine da sempre: guardo e riguardo le pareti, segno le vie, immagino avventure, salite estive ed invernali. E’ sempre stata una mia prerogativa, rimango seduto, vago con il pensiero e ancora non capisco quale sia il senso di tutto questo. Ho trascorso la gran parte della mia vita a rincorrere queste montagne, a filtrare con loro, a imparare a conoscerle. Tutto questo perché, che senso può avere? Viviamo in un mondo dove tutte le azioni hanno un valore solo se portano a qualcosa: vogliamo un lavoro redditizio, essere grandi sportivi per guadagnare soldi. Quotidianamente viviamo questa folle corsa per essere i migliori, divoriamo i giorni nell’attesa che si compia il cammino che ci porti a salire i gradini della società. Sono pochi quelli che fanno qualcosa per passione. La sensibilità è come la memoria, una predisposizione, puoi allenarla fintanto che vuoi ma se non ti scorre nel sangue non la sentirai mai. Il sole sta calando dietro i Sibillini ed io non ho trovato ancora una risposta, sono anni che la cerco. Ho sempre voglia d’avventura, di vie sconosciute, ho voglia di raccontare delle nostre montagne, della loro bellezza, di accarezzare con i miei passi i loro fianchi respirandone la pace. Questo è il mio percorso, mi riempie la vita nel mio modo, passando in punta di piedi senza voler nulla in cambio. La vita è fatta per essere vissuta ed esplorata. Mi piace svegliarmi con l’odore della legna bruciata, lavarmi la faccia con la rugiada del mattino, correre sotto la pioggia di primavera o nei boschi al tramonto, mentre il sole filtra rosso tra i rami e sento il conforto di essere tutt’ uno con l’ambiente, di alzare la testa e sperare, di abbassare lo sguardo e riflettere. Ora che ho perso la casa e con lei una prospettiva di serenità, sono preso spesso dallo sconforto, dalla voglia dell’ abbandono, dal desiderio di cambiare vita. Sono passati quasi sette anni dalle terribili scosse. Sono stati anni lunghissimi in cui ho perso molti amici, ho visto tante ingiustizie, ho attraversato lunghi inverni. Funziona così: dopo le visite di rito e le commemorazioni annuali, tutto si dimentica. Si ignora che i paesi distrutti saranno restituiti alla vita in almeno trent’anni. Perché il terremoto, nella memoria collettiva, si lega alle immagini cui tutti siamo stati abituati: le case distrutte, sventrate, squarciate ed i dettagli tra le macerie. Poi c’è un altro terremoto quello interiore, quello dei morti di malanni e di nostalgie, quello che arriva nel cielo d’ autunno con i cerri che frusciano al vento e le foglie che arrossano dolcemente, con tutti i paesi che non fanno più notizia e rimangono vuoti e inagibili. In tutta questa storia di disattenzione, di mancanza di progettualità, di indifferenza, di voracità, c’è chi fa i suoi affari con una ricostruzione illogica, un turismo mordi e fuggi, il land grabbing, grandi ed inutili opere. Io continuo a sognare una montagna diversa, dove la gente come me abbia un posto, dove ci sia vita collettiva e comune senza trascinare le proprie esistenze in solitudine senza mai un momento di convivialità. Vite a perdere sulle quali dominano i prepotenti che opprimono e sfruttano, che impongono ricatti e condizionamenti, sul ciclo inesorabile e ripetitivo di una montagna emarginata e isolata in cui tutti viviamo male.

                      Vittorio Camacci