“In questo mondo nulla ci appartiene”

La pensione è un fatto molto importante per gli anziani montanari. I giorni del mese, quando si ritira alla posta è speciale, quasi tutti i vecchietti si alzano di buon mattino per riscuotere l’amato vitalizio. Mi ricordo, in particolare, la storia di due anziani che abitavano nel nostro comune. C’era la primavera quel mattino, c’era nell’aria quel senso improvviso di scoperta che si prova tutti gli anni, proprio quel mattino, quel ricordarsi una cosa come dimenticata da mesi.  Camminava piano, piano ed arrivava sotto l’albero del melo. Si sedeva al solito posto, estraeva dal grembiule una busta di carta, legata con un’ elastico e cominciava a contare: “vinte carte da dicimila, trenta da cinquemila e dice da cinquecente, in tutte fanne trecentecinquantacinque milalire”. Era la sua pensione. Gelsomina la contava e la ricontava fino a quando arrivava suo marito Ubaldo: “stè sembre a cuntà si sorde, ma che te cride chi crescene chi la guazza a la matina!” Erano infatti cinque giorni che tutte le mattine Gelsomina ricontava quei soldi. Forse aveva paura che glieli rubassero? No, non era così; semplicemente provava piacere a ricontarli, a sentirli frusciare tra le mani. Tutta la vita li aveva guadagnati con fatica e sudore, con la vendita delle castagne, del formaggio, di qualche animale domestico o con le uova del pollaio. Questi della pensione li considerava, invece, una fortuna, una manna piovuta dal cielo, senza aver buttato una goccia di sudore. Comunque Ubaldo, dopo aver fatto lo spiritoso, disse alla moglie: “Date chi ci stè, conta pure li mmi!” Eravamo alla fine degli anni settanta ed i nostri paesini erano abitati principalmente da famiglie contadine. Ubaldo e Gelsomina erano proprio una bella coppia di vecchini ai quali il Signore aveva concesso di passare l’ottantina. Lei era ingobbita e camminava in avanti con la mano destra perennemente appoggiata su di un fianco. Aveva sempre il fazzoletto annodato sotto il mento, all’ epoca  un’ abitudine consueta per molte signore anziane, il viso rugoso e vispo, ogni volta che l’incontravo mi guardava dal basso all’alto per vedermi bene la faccia e mi diceva sempre: “ ma tu chi jji? Lu Figlie de lu Pittore?” Il marito aveva invece grossi problemi fisici, camminava a fatica e si appoggiava tremolante ad un bastone. Ogni tanto perdeva il filo logico del ragionamento e ripeteva sempre le stesse frasi. Non uscivano quasi mai di casa, tranne il giorno della pensione, quando andavano alla posta per ritirarla. La sera prima si facevano il bagno in un grosso catino di legno dopo aver scaldato l’acqua in un caldaio appeso al camino. Prima si lavava lei, da sola, poi entrava dentro lui mentre Gelsomina gli strofinava la schiena e gli diceva: “ voglie vedè cumma faraje a lavatte se me more prima jji!” E Ubaldo rispondeva: “ n’ti preuccupà, si mure prima tu dope nu dì arrive pure jji!” Poi Gelsomina gli faceva lentamente la barba, ogni tanto ci scappava qualche taglietto, datosi che gli tremavano le mani ed il vecchio, allora, gli diceva : “ so capite, mi vù fa la pelle!” La mattina di tutto punto uscivano in strada, lei davanti impettita e lui dietro barcollante, quando arrivavano alla posta c’ era sempre la fila. L’ attesa non li annoiava, anzi li divertiva perché gli dava la possibilità di scambiare quattro chiacchiere con gli altri. Gelsomina quando arrivava allo sportello si girava per controllare se qualcuno dietro origliasse per guardare i suoi affari. Poi, dopo aver contato e ricontato più volte l’ importo faceva passare il marito. Ubaldo tremolante doveva solo mettere la firma, al resto pensava lei. Ritirata la pensione passavano alla bottega e facevano la spesa che consisteva negli stretti e necessari prodotti che servivano a casa, quelli che l’ orto, la stalla ed il frutteto non potevano produrre. Un giorno arrivarono a casa stanchi morti, nascosero i soldi dentro un barattolo di latta che stava in fondo al baule e passarono il pomeriggio davanti al caminetto. La sera, prima di addormentarsi Ubaldo disse alla moglie: “chisà se lu prossime mese putimme jji ancora assime a pigliè la pinsiò!” “Durma e statte zitte!” Rispose Gelsomina. Erano sereni e si erano divertiti un sacco. Il giorno dopo una lontana nipote che ogni tanto passava a trovarli li trovò addormentati per sempre. L’ossido di carbonio dello scaldino del prete che avevano scordato in camera era stato fatale ad entrambi, regalandogli una dolce dipartita. Gli eredi, tutti  nipoti ed affini, non riuscirono a trovare i soldi, a parte quelli dell’ ultima pensione nella scatola di latta. Non si seppe mai dove fossero gli altri che i due stavano sempre attenti a non spendere.

 Mi piace pensare che una grossa cifra di denaro, ormai fuori corso, sia ancora nascosta in qualche parte del nostro territorio.

Vittorio Camacci