Tra i tanti mestieri andati perduti a causa del progresso, penso che quello della lavandaia sia stato il più disagevole e faticoso. Oggi si dice in tono ironico: “chiacchieri come una lavandaia”, ignorando quanto sia stato duro e ingrato questo lavoro per intere generazioni di donne. Passando per il villaggio SAE di Borgo 1, dove oggi è attiva una moderna lavanderia, indispensabile per tutti, dove a buon prezzo è possibile fare il bucato, con semplicità estrema, attraverso l’ausilio di lavatrici, supportate da un sistema di asciugatura, ho pensato come spiegare alle nuove generazioni cosa comportava fare quello stesso lavoro tanti anni fa. La lavandaia tipo, era quasi sempre una vedova, con a carico tanti figli, che con i guadagni di questo tremendo lavoro, riusciva a stento ad assicurare la sopravvivenza della sua prole, a scapito della propria salute. Al tempo le abitazioni non erano provviste di acqua corrente, quindi bisognava recarsi sulle rive di un ruscello per lavare la biancheria. Il sapone veniva fatto in casa con il grasso di maiale, la pece greca e la soda caustica. Le donne partivano dal paese portando la biancheria in una grossa cesta, trasportata sopra la testa, protetta dalla “roccia”, un grosso straccio ritorto e ripiegato a mo’ di ciambella. Sulla riva del ruscello, ogni lavandaia aveva la sua postazione che consisteva, di solito, in un grosso lastrone d’arenaria, dove essa s’inginocchiava; e un’altra di duro e rugoso macinio, parzialmente immersa nell’acqua dove sciacquava i panni, sfidando il gelo sia in estate che in inverno. Stare in queste posizioni per ore, inginocchiate su una superficie dura o immerse nell’umidità portava molto spesso ad un brutta malattia: la borsite alle ginocchia. Anche le mani erano messe a dura prova tanto che in inverno si ricoprivano di dolorosissimi  geloni e di penose ragadi, difficilissime da guarire. Le artrosi e i reumatismi erano delle malattie quasi naturali per queste donne e l’assenza di farmaci specifici, causavano ad esse un vero e proprio calvario nella vecchiaia. Una volta tornate in paese stendevano la biancheria ala sole ad asciugare per poi essere stirata con un ferro pieno di carbonella presa dalle braci del camino. Alcune di esse, mettevano nella biancheria, accuratamente piegata, sacchettini di stoffa con lavanda, per completare con maestria il lavoro. Solo dopo la guerra, vennero costruiti i primi lavatoi pubblici, provvisti di vasche con acqua corrente e protetti da tettoie. Oggi tutto questo sembra assurdo, ma se un tempo esisteva un minimo d’igiene lo dobbiamo a queste coraggiose donne che per sopravvivere si consumaro mani, ginocchia e vita sulle rive di un torrente.

                   Vittorio Camacci