I romani furono i più grandi costruttori di strade che permisero di collegare rapidamente le città conquistate di tutto il bacino mediterraneo e di tutto l’impero. Essi tracciarono circa 100.000 chilometri di percorsi lastricati e altri 150.000 di terra battuta , sufficientemente larghi e adatti al transito dei carri. Le più importanti vie come la Flaminia, l’Appia, l’Aurelia, la Cassia, l’Emilia, la Salaria ecc. partivano da Roma nel sito di un Foro in cui era eletta una colonna di Bronzo Dorato denominata “Miglio Aureo” , su cui erano incise le varie distanze da quel punto fino al limite estremo di ogni strada. Lungo il percorso nacquero Vici, Pagus (centri abitati) e Statio (stazioni di sosta) dove i viandanti potevano albergare, cambiare i cavalli e riparare i carri. Agli inizi le strade furono costruite per assolvere a funzioni prettamente strategiche, ovvero per facilitare l’esercito nella conquista delle colonie. La costruzione di una strada aveva come priorità assoluta il raggiungimento più rapido della meta mentre la tecnica costruttiva era veramente geniale e si adeguava alla natura dei territori attraversati. Ogni strada presentava tre elementi tecnici fondamentali : 1) una massicciata di base formata da grosse scaglie di pietra; 2) un nucleo intermedio fatto di sabbia e pietrisco rullati e battuti con pesanti rulli; 3) il rivestimento esterno realizzato con l’impiego di grossi lastroni, di pietra calcarea o silicea, affondati in un letto di sabbia. La carreggiata era ovviamente curvata ad arco , con il punto più elevato al centro e pendenze verso i due lati per favorire il flusso delle acque piovane. Accanto a queste strade ve ne erano alcune che non avevano massicciata ed erano lasciate a fondo naturale di terra; queste erano chiamate “Viae Terraneae”. I romani per attraversare i fiumi e le ampie valli furono anche artefici della costruzione di ponti e viadotti, mentre raramente ricorrevano alle gallerie. Tra queste strade, la più antica fu senza dubbio la via Salaria, così chiamata per via del trasporto del sale, certamente la prima “Consolare” che collegava Roma al mare Adriatico. Uscita dall’Urbe raggiungeva prima l’antica Rieti (Reate), storica capitale della Sabina, poi le terme di Cotilia, sorgenti di acque acidule, solforose e ferrate, come testimoniano le ville di Tito e Vespasiano, attraversando così le impervie gole del Velino con strettissimi passaggi tra le dure e spigolose rocce su alti strapiombi a picco sul fiume. Successivamente la strada scavalcava lo spartiacque tirreno-adriatico e cominciava a scendere l’ampio altipiano della Conca Amatriciana per poi proseguire nella valle del Tronto attraversando Accumoli, Ad Martis (l’odierna Tufo), Pescara del Tronto, Surpicanum (una statio – stazione di posta che si trovava in corrispondenza della Chiesa di San Salvatore dove si trovava il bivio della Salaria Gallica per Firmum) , Ad Centesimum (statio romana nei pressi dell’ attuale Trisungo) , Quintodecimo, Acquasanta Terme (Ad Aquas), fino a giungere Ascoli Piceno (Asculum) ed infine il mare Adriatico in località Castrum Truentinum (l’odierna Martinsicuro). La Salaria è esplicitamente nominata da Cicerone nel 44 a.C. . pochi decenni dopo, l’imperatore Augusto promosse imponenti lavori pubblici per migliorarne la viabilità dal punto di vista infrastrutturale (una prova tangibile di questi lavori è documentata dal cippo miliare in travertino di Trisungo, con iscrizione latina, datato 15/16 a.C. / 738-9 di Roma, rinvenuto nel 1831 nell’alveo del Tronto segnante il 99° miglio da Roma). Nella nostra valle a causa delle caratteristiche naturali del territorio, la via seguiva un percorso obbligato, con passaggi difficoltosi fino all’odierna Mozzano. Una volta giunta a Castrum Truentum, la Salaria si divideva: verso sud proseguiva fino ad Hadria (Atri) e verso nordo fino ad Ancona con il nome di Salaria Picena. La Salaria dava inoltre vita ad una serie di itinerari secondari, che congiungevano le città dell’entroterra marchigiano meridionale, secondo la direttrice sud-nord. Questa complessa rete viaria prendeva il nome di Salaria Gallica e la diramazione più importante di questa via si staccava, appunto, nel nostro territorio a Surpicanum. Questa antica “statio” (stazione di sosta) sorgeva vicino le rovine dell’ attuale Chiesa di San Salvatore, prima ancora Santa Maria della Pieve, che aveva nelle immediate vicinanze delle costruzioni. infatti nel tardo medioevo la statio romana era diventata l’Hospitale di Santo Spirito, riconoscibile con la croce di Lorena scolpita sull’architrave di volta, posta al vertice dell’arco d’ingresso. Si trattava di un edificio che non aveva perso l’antico compito, infatti dette assistenza e ricovero ai viandanti ed ai pellegrini fino al novembre del 1681. Apparteneva all’ordine degli Ospitalieri di Santo Stefano di Sassia ( fondato nel 1195 da Guido di Montpellier ) che per alcuni secoli gestì numerose “Tavole di Santo Spirito” (ricoveri) lungo la Salaria. La Salaria Gallica risaliva l’attuale Fosso delle Pianelle, passando per Piedilama e Pretare fino a Passo Galluccio dove attraversava i Sibillini transitando per Balzo di Montegallo, Montemonaco, Montefortino, Amandola continuando poi fino ad Urbs Salvia (Urbisaglia) raggiungendo infine Aesis (Jesi) dove si riallacciava al ramo meridionale della Flaminia per arrivare a Senigallia. Da Amandola un ulteriore diverticolo si immetteva nella Valle del Tenna e raggiungeva Castellum Firmanorum (Porto San Giorgio) passando per Falerio Picenus (Falerone) e Firmum (Fermo). Ecco perché Salaria Gallica: il nome Senigallia fa riferimento ai Galli Senoni del capo tribù Brenno che nel IV secolo a.C. ne fondarono il primo nucleo abitativo su una bassa collina fronteggiante il mare, a nord del fiume Esino, dove si erano stanziati dopo la conquista del nord-Italia.
Vittorio Camacci