Nell’antichità erano presenti ed attivi ben quindici mulini ad acqua nel territorio arquatano. Oggi sono tutti non funzionanti, tranne il mulino Capovilla di Trisungo, ex-proprietà della famiglia Calvelli ed oggi appartenente alla nota famiglia molitrice Petrucci, riconvertito in elettrico agli inizi del secolo scorso, mentre gli altri sono stati trasformati in abitazioni private, restaurati o riconvertiti ad altra utilizzazione. Tutti gli altri sono abbandonati, diroccati o scomparsi del tutto. Il loro stato di conservazione è drammaticamente peggiorato dopo lo sciame sismico del 2016. I mulini di Arquata del Tronto erano stupendi esempi di opifici idraulici, antiche strutture medievali per la molitura dei cereali, in alcuni casi fortificati per difendere il loro prezioso tesoro di farine, preziose per alleviare la fame del passato. Gli ultimi veri mugnai hanno continuato a macinare fino agli anni settanta. I mulini erano quasi tutti a ruota orizzontale, detta “ritrecina” e la diffusione capillare di questi impianti nella nostra zona fu dovuta all’ordine monastico dei Benedettini che dal convento di Borgo ci insegnarono quasi tutte le tecniche di coltivazione e di costruzione di macchinari artigianali utili alla vita ed alla sopravvivenza di tutti i giorni. La loro diffusione fu agevolata dalla presenza di importanti corsi d’acqua racchiusi tra le piccole valli delle nostre montagne. Questi mulini, infatti, potevano funzionare anche in estate, quando i torrenti avevano una portata limitata, perché il loro funzionamento consisteva nel deviare una parte d’acqua del fiume, grazie ad una chiusa, incanalarla in un canale “la reglia”, per portarla ed immagazzinarla in un invaso retrostante il mulino “lù bòttacce” e sfruttare, poi, questo potenziale di riserva. Il mulino a ruota orizzontale era completato da due macine di pietra poste orizzontalmente, l’una sopra l’altra, quella inferiore era chiamata “la dormiente” mentre quella sopra “la girante” perché ruotava sull’altra permettendo lo schiacciamento dei chicchi, creando la crusca che poi setacciata diventava farina. Dal canale partiva una condotta che portava acqua fino alla grotta sottostante il mulino, dove si trovava l’albero a cucchiai, e grazie alla pressione dell’ acqua sulla loro sezione conica conferiva la forza sufficiente per far girare “la ritrecina”. La macina superiore era collegata in presa diretta con l’albero a cucchiai e quindi ruotava al suo movimento. I cereali venivano messi nella tramoggia posta sopra le macine e cadevano pian piano nel foro posto al centro della macina superiore, veniva poi distribuito nello spazio tra le due macine per poi uscire nel cassone frontale “la cotina” dove veniva raccolta. Sono riuscito a trovare traccia di questi mulini: Trisungo, due mulini (il Molino Capovilla sulla destra orografica del Tronto mosso ad energia idraulica fino al 1907 ex proprietà Calvelli ora proprietà Petrucci) [ attualmente inagibile per il sisma ], era presente un’ altro mulino tra Fonte della Putetella ed il Ponte di San Paolo di cui restano alcune rovine e le bocche di uscita; Pretare ( bellissimo mulino in stile liberty venne acquistato da Piermarini Lorenzo emigrato “di ritorno” dall’America e ceduto a Marini Lorenzo che lo gestì fino agli anni settanta. Oggi è di proprietà del figlio Antonello che lo ha restaurato trasformandolo in civile abitazione. Del vecchio mulino sono presenti tutte le caratteristiche peculiari: la vasca, le macine e gli alberi delle ritrecine) [attualmente inagibile per sisma]; Piedilama (due mulini, uno lungo la desta orografica del Fosso delle Pianelle sopra la grotta di Sant’Egidio, mentre quello più in basso sulla sinistra orografica denominato mulino Cataldi conserva ancora miracolosamente le ritrecine con i cucchiai nelle bocche di uscita ) [ seriamente danneggiati dal sisma]; Borgo ( due mulini di proprietà Calvelli attivi fino al 1920 ed ora riconvertiti in anonime strutture senza più alcun reperto ) [seriamente danneggiati dal sisma]; Pescara ( due mulini quello di proprietà dei Norcini Pala è stato mosso ad energia idraulica fino al 1939 quando è stato convertito in pastificio e successivamente in civile abitazione) [completamente abbattuti dal sisma]; Capodacqua (due mulini quello detto “Di Sopra” è stato mosso ad energia idraulica fino al 1964, era di proprietà della comunanza, fu ben restaurato nel 1907, conserva alcune macine abbandonate, sul retro sono ancora visibili le condotte, ci sono anche la tramoggia e la doccia realizzata in pietra, il canale è ancora percorso dall’acqua [seriamente danneggiato dal sisma], il secondo mulino è oggi scomparso, era più in basso del mulino gemello di un centinaio di metri, di proprietà plurifrazionata, al suo posto oggi c’è un lavatoio; Tufo ( attivo fino al 1973, resta solo un muro perimetrale ed un canale di irrigazione usato oggi per gli orti ) [completamente distrutto dal sisma]; Colle ( sulla sinistra orografica del torrente Chiarino del quale restano poche rovine in prossimità degli abitati scomparsi di Colle Basso, Piano e Pigna Verde era di proprietà della famiglia Iacopini); Vezzano ( mulino Cavarocchia, era fortificato e si trovava sulla destra orografica del Tronto, si conservano le mura perimetrali ed alcune costruzioni )[seriamente danneggiato dal sisma e dall’incuria]. Invitiamo appassionati, curiosi, turisti e studiosi a visitare i nostri antichi mulini, percorrendo i sentieri del G.A.D.A., per mantenere viva la loro memoria storica, testimone della coltivazione rurale di cereali che abbondava nelle nostre valli. Capiamo che oggi è difficile considerare questi antichi mulini beni culturali, datosi che sono quasi tutti in rovina, ma sarebbe importante ripristinarne almeno uno per continuare a raccontare storie di acqua e farina , per produrre ancora il buon pane di una volta, per mantenere una delle memorie storiche che purtroppo abbiamo perduto.
Vittorio Camacci