Sul finire della seconda guerra mondiale anche le nostre zone furono segnate dal passaggio della ritirata tedesca. In gran parte a piedi, disfatti e disciplinati, soldati e ufficiali tedeschi guardando per terra, sfilavano. Quando passavano c’era solo un gran silenzio, un profondo silenzio di morte e distruzione. La popolazione locale temeva di essere sottoposta ad estorsioni e saccheggi ed aveva il terrore di imbattersi nei militari tedeschi in ritirata. D’altronde essi oltre ad avere necessità di approvvigionamento di viveri, essenziali per un esercito sconfitto ed in ritirata, avevano l’esigenza vitale di frenare l’avanzata nemica e per questo facevano saltare dighe e ponti. Prendevano tutto quello che trovavano: maiali, uova, vitelli, pecore, agnelli, frutta e verdure. Gli abitanti dei paesi lungo la Vecchia Salaria, nascosero il bestiame in grotte e nascondigli tra i boschi, camuffarono le botti di vino dietro falsi muri, insomma escogitarono ogni tipo di artifizio pur di salvare quante più cose possibili. Nel giugno del 1944 le truppe naziste in ritirata, minarono con 56 kg di esplosivo la diga del Lago di Scandarello. Tutti i paesi lungo la valle del Tronto, dove vivevano migliaia di persone, sarebbero stati colpiti dall’ ondata di piena che avrebbe così coperto la ritirata tedesca. Fortunatamente ventisette partigiani, in gran parte amatriciani, il 17 giugno del 1944, con un’ardita azione di disinnesco salvarono tutta la valle dalla distruzione. Tra di essi c’ erano i carabinieri Antonio ed Alfredo Muzi che nella notte del 17 giugno, sotto una pioggia battente, rimossero le mine a strappo poste all’ esterno della galleria e collegate con fili di ferro, se ci inciampavi era finita. Alcune erano ad orologeria ed emanavano un tic tac che terrorizzava, esse furono disinnescate dal maresciallo Pasquale Di Sabato e dall’artificiere Pellicciari, con un passamano si portarono fuori dalla galleria e vennero depositate nella boscaglia.  In quegli stessi giorni un uomo scendeva il sentiero stretto e tortuoso del Colle del Moro. Già lasciava dietro i faggi per incontrare i primi castagni e vide una donna che gli saliva incontro. Era lenta, ogni tanto si inchinava a cercare qualcosa, lo faceva con tranquillità come chi avesse a disposizione un tempo infinito. Capì che non la poteva evitare, provò disagio, anche lei lo vide e si fermò in attesa. “Buon giorno!” disse lui. Era un uomo robusto e vigoroso, portava un cappotto militare, con una mano teneva un bastone mentre con l’altra manteneva uno zaino buttato sulle spalle. Aveva barba e capelli lunghi, sembrava un selvatico. “Che fate quassù?” ” Io raccolgo funghi ed erbe, quelle che mi servono per curare!” Rispose la donna. Era secca, abbastanza alta ed aveva i capelli fulvi ed arricciati. La rivide dopo qualche giorno, lei aveva una fascina sotto braccio. “Ma voi che ci fate ancora qui?” Disse la donna. “Fulvio, mi chiamo Fulvio! ” Rispose l’uomo. “Sono un cacciatore.” Aprì lo zaino e gli regalò una lepre. La donna gradì il regalo anche se la lepre era ancora viva. Prese con la sinistra le zampe posteriori dell’animale che si agitava, lo fece penzolare a testa in giù, poi colse il momento giusto e gli diede un colpo con il taglio della mano destra tra capo e collo, uccidendola. Successivamente l’attaccò ad un ramo e con il coltello tolse la pelle e le interiora. “Grazie!” Disse la donna. Era un giorno limpido, pieno di riflessi solari, lontano i verdi profili delle montagne tagliavano l’orizzonte. Il silenzio era profondo, quasi solenne. Nulla si muoveva intorno. All’ improvviso uno strano scricchiolio interruppe il loro incontro, qualcuno camminava nel bosco, erano altri uomini che ad un gesto di Fulvio uscirono dai nascondigli e presero posizione intorno ai due. Immobili stettero con le armi in pugno intorno alla coppia. “Siete partigiani?” Disse la donna. “Siete quelli della Brigata Gramsci, quelli che il 17 gennaio scorso attaccaste un convoglio provocando morti e danni agli automezzi? In paese ci sono i tedeschi, stanno minando il ponte, facciamo un patto. In casa ho un’imbottita, da un lato è di colore giallo, e dall’altro è rossa. Quando i tedeschi non sono in paese stenderò verso di voi il lato giallo. E’ il segno che la via è libera. Allora potete passare! “Il coraggio di Brigida salvò la vita alla banda partigiana di Fulvio che entrata a Tufo trovò solo un vecchio panzer in avaria abbandonato al bivio di Forca Canapine. Il ponte era stato fatto saltare, ma i tedeschi, per la fretta avevano minato male i piloni ed esso si era adagiato solamente più in basso. Il paese era salvo perché l’enorme spostamento d’aria aveva mandato in frantumi solo i vetri ed i telai delle finestre. La Brigata Gramsci proseguì verso Ascoli Piceno e tra il 18 ed il 20 giugno fu tra le prime del Corpo Italiano di Liberazione ad entrare in città insieme al 184° Reggimento Paracadutisti della Nembo ed al 61° Battaglione Allievi Ufficiali Bersaglieri.

                   Vittorio Camacci