Skyrunners dal volto di pietra

facce bruciate dal sole estivo

percorrono i tuoi declivi calcarei

cercando un’epica vittoria.

 

Paiono guerrieri germanici alati

tanto sfiorano leggeri la roccia

muscoli tesi e sguardo fiero

di chi non ha paura della morte.

 

Le Fate della Montagna li scrutano

per certi versi li proteggono

ammirate da tanto ardore

gli fanno dono di una piccola immortalità.

 

Il vecchio maratoneta continuò a salire, in solitario, verso la cima, fino a diventarne parte. Lo accompagnava il silenzio delle vette sibilliniche, quello della neve e del silenzio eterno, quello che non esiste in nessun altro luogo se non lassù. Un freddo infernale gli gelava i polmoni, ma egli strinse i denti, riposò pochi secondi, e pur con il fiato corto, riprese a salire. Ormai era in quota, come al solito il rifugio era chiuso a chiave, il freddo era diventato insopportabile e gli infilava le diafane dita dietro la schiena, mentre un maligno vento di tramontana gli gettava sulla faccia acuminati aghi di ghiaccio. L’anziano podista, fece una smorfia, una specie di sorriso sofferto, e pensò come fosse strana e crudele la vita degli uomini di buona volontà. Era nato tra quelle montagne e si era subito innamorato di esse, un amore viscerale, morboso che ancora non riusciva a spiegare. I ricordi sbiaditi dell’infanzia si fermavano all’attimo in cui, la madre, il mattino apriva gli scuri della finestra per svegliarlo e lui, dal suo lettino poteva vedere la maestosità del Vettore. Nella sua ingenuità fanciullesca credeva che solo alla Maga Sibilla ed alle sue fate fosse concesso di arrivare sulla cima di quell’ enorme montagna, come gli raccontava sua nonna nelle favole. Chi poteva pensare che nel resto della sua vita, avrebbe visitato tutti i Sibillini in lungo ed in largo. Per lui ii Massiccio del Vettore, la Cima del Redentore, il Pizzo del Diavolo, la Cima del Lago, il Monte Sibilla, il Monte Bove, il Monte Priora non avevano segreti. Sin da adolescente aveva capito di avere un amore concupiscente, un ardore verso queste montagne che lo circondavano. Con una smorfia di dolore si tolse il guanto della mano destra e con l’altra cominciò a massaggiarla energicamente, era diventata diafana e fredda, gli faceva molto male anche se al tatto sembrava insensibile. Dopo essersi rimesso il guanto, riprese la faticosa salita con la neve che ormai gli arrivava alle ginocchia. Uno strano torpore lo fece rituffare nei ricordi. Rammentava i pomeriggi estivi, passati sui Monti della Laga tra l’assordante silenzio delle forre e l’impenetrabile colore verde dei boschi di castagno, correndo all’interno delle maestose faggete, saltando innumerevoli fossi tra lo stormire delle fronde. Poi stanco si sdraiava supino sull’erba dei pascoli, ammirando il turchino del cielo mentre ascoltava il monotono ed argentino gorgoglio delle fonti montane. Come poteva dimenticarsi del mistico odore di resina che si respirava nelle mastodontiche “cattedrali” di abete o di quei voluttuosi profumi di fiori selvatici che accarezzavano le sue narici nelle smeraldine vallate. E gli inverni che ammantavano il tutto con immacolato candore tanto che il camminarci sopra con le ciaspole pareva un sacrificio. Mentre pensava a tutto questo, una violenta stilettata sulla gamba sinistra, lo fece cadere sulle ginocchia con un urlo di dolore. Si alzò a fatica, mentre il muscolo della coscia si contraeva spasmodicamente, provocandogli ondate di dolore simili a crampi. Facendo un enorme sforzo di volontà riprese la salita, ripercosse mentalmente, pentendosene, le volte che aveva fatto stare in pensiero la vecchia madre tornando a sera inoltrata dai suoi allenamenti sui sentieri montani. Un artiglio all’interno del suo petto gli strinse i polmoni, la respirazione divenne affannosa tanto che, fu costretto ad appoggiarsi ad uno spuntone di roccia. Tossì seccamente poi riprese l’ascesa, ma un colpo di tosse ancor più violento lo costrinse di nuovo a fermarsi. Stavolta l’attacco durò a lungo tanto da lasciarlo stremato con la sensazione che un fuoco ardesse nei suoi polmoni. Dopo alcuni minuti, riprese il cammino, ormai era quasi alla vetta ma sentiva difficoltà nel respirare e le gambe parevano di legno, anche mani e braccia avevano strani formicolii, tremando in modo incontrollabile. Con uno sforzo infinito si tolse il giacchino termico, commettendo un terribile errore, fu allora che sua “maestà” il gelo affondò le sue lucide zanne sulla sua carne, provocandogli brividi di febbre. Si tolse anche il berretto ed i guanti, poi si sedette appoggiando la schiena sulla gelida roccia. In quel punto vi era una piccola nicchia che interrompeva il sentiero roccioso. Stalattiti di ghiaccio pendevano dalla roccia calcarea come preziosi candelabri di cristallo che riflettevano la calda luce del crepuscolo mentre la vallata sottostante era già immersa nelle tenebre. I muscoli dorsali, resi insensibili dal freddo, tentarono uno sforzo indicibile presi dallo spirito di sopravvivenza che gli urlava di reagire. Fu allora che, quasi di colpo, il sole incendiò il Vettore di rosso, trasformando la candida neve in brace ardente, magnificenza del creato. A quel punto i suoi occhi si inumidirono per la commozione mentre raffiche di Burian ghiacciato finivano di dilaniargli il corpo. Tutto durò un solo minuto, mentre il sole calava e la neve infuocata si spegneva. I suoi occhi diventarono di vetro e lui rimase attaccato in un abbraccio alla sua montagna per sempre.

 

LA SALITA

Ad un certo punto della tua vita

incontri un bivio con quattro direzioni da prendere.

Non dubitare nemmeno un attimo

prendi quella che va in alto.

Se vai a destra o sinistra rimani uno qualunque

se vai in discesa è troppo facile sarai vittima di te stesso.

Salire è più difficile,  è un’eterna sfida, una lotta continua.

Cosa può capitarti? Puoi anche incontrare la morte.

La incroceranno anche quelli che hanno preso le altre vie.

    Vittorio Camacci