Capodacqua. L’Oratorio della Madonna del Sole

L’Oratorio della Madonna del Sole si trova nella frazione di Capodacqua e, insieme alla fortezza medioevale della Rocca, è uno dei due Monumenti nazionali italiani presenti nel comune di Arquata del Tronto. Particolare per le sue eleganti e sobrie linee stilistiche, appartiene al patrimonio della cultura identitaria e rappresenta una delle più prestigiose realtà monumentali di valenza storico-culturale-architettonica del territorio. Risulta annoverato tra gli esempi di arte religiosa del Rinascimento ed è collocato dagli storici contemporanei tra i «santuari mariani» dislocati lungo le vie che conducono alla Basilica della Santa Casa di Loreto.
Gli elementi compositivi che lo contraddistinguono confermano schemi e modelli strutturali diffusi nell’area geografica degli Appennini umbro-marchigiani e lo rendono un’autentica gemma preziosa, custode di memorie d’arte e del senso di profonda devozione che ne ha ispirato la realizzazione. La fama della sua gradevole armonia era già nota pochi anni dopo la sua fabbricazione. Nella visita pastorale, avvenuta nell’anno 1605, il vescovo ascolano Sigismondo Donati, (con ordinazione episcopale ricevuta il 7 gennaio 1605. F. A. Marcucci), riferiva di aver pregato nell’Oratorio e lo descriveva «pulcherrimum», ossia: bellissimo, magnifico.
Sul finire del XVIII secolo, nell’anno 1788, trovava menzione l’esistenza di una «Confraternita della Madonna del Sole» a Capodacqua nel testo della Nota de’ luoghi pii laicali e misti della provincia. Il paese, indicato con il nome di «Villa di Capo d’Acqua», si trovava elencato tra i possedimenti di Accumoli, al tempo appartenente alla provincia dell’Aquila.
Secondo quanto riportato l’associazione religiosa corrispondeva: «1 ducato e grana cinquanta». La stessa congregazione trovava un’ulteriore citazione anche nell’anno 1796 nel IV Tomo del Dizionario geografico-istorico-fisico del Regno di Napoli composto dall’abate D. Francesco Sacco in cui la «Villa di Capo d’Acqua» era un «Casale Regio di Accumoli nella Provincia dell’Aquila ed in Diocesi di Ascoli dello Stato Pontificio (…) in questo Regio Casale sono da osservarsi una Parrocchia sotto il titolo di San Pietro, due Confraternite Laicali sotto l’invocazione della Madonna del Sole e della Vergine del Carmine».
Attualmente è l’unico luogo di culto, delle tre chiese costruite nel paese, che quasi con ostinazione riesce a sopravvivere alle avversità e dimostra una sua irremovibile e tenace fermezza. Già negli anni 1862 e 1868 aveva superato dissesti geologici causati dalle alluvioni che hanno determinato un abbassamento del terreno sul quale insiste. Ora s’innalza, puntellato, come un solitario e malridotto guardiano che presidia e vigila su ciò che resta dell’intero centro urbano, completamente distrutto, trasformato in un ininterrotto cumulo di desolanti silenziose macerie dalle violente sequenze sismiche che hanno colpito e devastato le regioni del Centro Italia.
La storia del piccolo tempio, oggi chiesa sussidiaria della parrocchia di Santa Croce di Pescara del Tronto nella diocesi di Ascoli Piceno, ha avuto inizio nella prima metà del XVI secolo, nell’anno 1528, quando i fedeli di Capodacqua hanno desiderato di costruire un oratorio, ossia un nuovo ambiente consacrato destinato alla preghiera. Il nome scelto per indicarlo deriva dal lemma latino «oratorium» e trova la sua origine nel verbo «orare», che vuol dire parlare, ma che nel latino tardo (ecclesiastico) ha acquisito il significato di «pregare». Lo stabile religioso è stato eretto all’interno del paese, nello spazio di intersezione e di confluenza di tre strade, perseguendo lo scopo di proteggere la preesistente edicola votiva dedicata alla Madonna del Sole nell’anno 1523. Quest’ultima era stata a sua volta innalzata nello stesso posto dove, in tempi antecedenti alla diffusione del cristianesimo, si compivano cerimonie e riti naturalistici per venerare il dio Sole. È verosimile ritenere che il titolo della dedicazione sia frutto di una riconversione o di una trasposizione cristiana dell’antico culto pagano. La tradizione, non comprovata o attestata da alcuna fonte documentale, ma tramandata anche dagli scritti di Giuseppe Fabiani, vuole che la sua progettazione sia ascrivibile all’ingegno ed alla creatività di Cola
dell’Amatrice, nome con cui è più conosciuto Nicola Filotesio, nato a Filetta in provincia di Rieti, vissuto tra il XV ed il XVI secolo, citato tra gli artisti più illustri anche da Giorgio Vasari che lo ricorda nel testo: Vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri.
La consistenza del sacro edificio sviluppa il suo assetto in un unico corpo di fabbrica, costruito interamente in pietra arenaria, e presenta le caratteristiche architettoniche di un «sacello celebrativo mariano». È stato alzato da una pianta centrale a forma di ottagono, figura geometrica in cui è riconoscibile la precisa intenzione di attribuire un significativo ed efficace valore simbolico alla costruzione. Le parole di Furio Cappelli ne forniscono una esaustiva spiegazione, egli scrive: «l’ottagono, figura mediatrice tra il quadrato, (la Terra), e il cerchio, (il cielo) raffigura la salvezza che la Vergine, tramite suo Figlio, assicura al popolo dei credenti.»
L’esterno della struttura ha pareti rifinite con intonaco chiaro e ripartite in orizzontale da una linea marcapiano in pietra modanata che cinge la parte alta del tiburio. Le profilature di ogni angolo sono ricoperte da lastre squadrate di pietra bugnata. Due facciate sono aperte, nello spazio mediano, dai varchi d’ingresso dei portali ad arco e propongono anch’esse le pietre bugnate come finitura estesa su tutta l’area della porzione inferiore del muro, ovvero sottostante alla cornice marcapiano che corre lungo tutto il perimetro. Il portale dell’ingresso principale è ornato da una cornice a centina ed è sormontato da un rosone incorniciato da una duplice ghiera. L’altro portale mostra la medesima rifinitura centinata ed è sovrastato da una lunetta in cui compaiono le deboli tracce di un antico dipinto. Su entrambi questi prospetti sono state murate nove formelle quadrangolari in pietra locale, quelle poste al di sopra degli archivolti recano iscrizioni che richiamano la dedicazione del tempietto alla Vergine ed il testo scalpellato di un’invocazione a Maria. Altre sono semplici lacunari ed altre ancora sono decorate da bassorilievi che riproducono le forme stilizzate del sole, della luna e della rosa dei venti.
Nell’emblema del sole, schematizzato con due cerchi concentrici ed i raggi, risiede il significato dell’eternità di Dio, mentre il tema della luna allude alla precaria provvisorietà dell’umana esistenza. La valenza di questi riferimenti astrali riconduce e lega con particolare riguardo la Vergine ed il tempietto ad una «cosmologia sacra dove fede e spiritualità sono in armonia con i ritmi della vita».
La vela del campanile a due luci, caduta durante la scossa tellurica del 30 ottobre 2016, era formata da un tessuto murario in pietre squadrate ed ornamenti lineari a risalti orizzontali. Accoglieva due campane, la maggiore datata 1558 era stata fusa con l’incisione del probabile anno di completamento dei lavori della chiesetta.
L’interno è costituito da un’unica aula liturgica, racchiusa da mura lievemente incavate da nicchie, ed adornata da numerosi affreschi cinquecenteschi di varie grandezze, attribuiti ad artisti diversi. La copertura si compone di una cupola innervata che evidenzia la posa in opera di costoloni non convergenti al centro, bensì disposti a girandola e tangenti ad un solo concio posto in chiave. La volta è contenuta dal tiburio, anch’esso ottagonale. Il ciclo pittorico, già in fase di restauro durante gli eventi sismici, è connotato dalla rappresentazione di angeli, di santi, della Madonna del Sole inserita nel tabernacolo con decorazioni blu ed oro datato 1523 (MCCCCCXXIII) attribuita ad un discepolo di Carlo Crivelli. Vi sono, inoltre, una Madonna di Loreto del 1556, una Crocifissione, due deposizioni, la più grande risale al 1555 e l’iscrizione che ricorda le elemosine raccolte per finanziare il dipinto. Vi è ritratto il Cristo al momento del suo distacco dalla croce mentre è accolto dalle braccia della Madre. Sullo sfondo si riconoscono la collina del Golgota e le tre croci poste sul vertice dell’altura. La raffigurazione iconografica illustra il penultimo episodio della Passione di Gesù, evento che s’interpone tra la sua morte e la sua sepoltura, contemplato nella XIII Stazione dell’itinerario spirituale della Via Crucis.
L’opera di maggiori dimensioni ritrae l’Assunzione della Beata Vergine Maria, citata anche come l’Assunzione della Vergine tra gli Apostoli, che narra l’elevazione della Madonna verso cielo. L’argomento è un dogma della fede cattolica secondo cui Maria, alla conclusione della sua vita sulla Terra, è salita in paradiso con il suo corpo e la sua anima. Furio Cappelli definisce questo affresco: «monumentale (…) di chiara ispirazione raffaellesca, forse riconducibile alla mano di Michelangelo Carducci da Norcia». Carducci era nato a Norcia nella prima metà del XVI secolo ed aveva raggiunto buona fama e notorietà verso la metà dello stesso secolo. Ha profuso la sua arte in molti affreschi, tra i quali quello della volta della Cappella della Santissima Icone del Duomo di Spoleto (circa 1555-1556), la pala d’altare della Resurrezione di Lazzaro eseguita nella Cappella Tebaldeschi-Argentieri all’interno della Basilica di San Benedetto nella città di Norcia (1560) ed altri dipinti, sia interni e sia esterni, della Chiesa della Misericordia di Spello (1562).
L’Oratorio conserva e protegge anche un quadro che racchiude un peculiare e singolare interesse identitario e che costituisce un unicum intitolato alla Madonna tra le nuvole, collocato sulla parete dell’altare maggiore. L’argomento del dipinto tramanda la memoria e riassume visivamente l’evento di un miracolo benevolmente concesso dalla Vergine alla comunità. In esso trovano spazio sia l’episodio legato alla storia del paese, punteggiata dalle frequenti liti con Norcia per l’uso dei pascoli e dei boschi della montagna di Forca Canapine, e sia la lotta che gli abitanti ingaggiavano con i confinanti per rivendicare il possesso e ristabilire i limiti territoriali durante il Medioevo. Nel corso dell’insorgere di una di queste contese, al fine di scongiurare una violenta e sanguinosa contrapposizione, entrambe le parti concordarono e convennero di cessare lo scontro al primo caduto. Inaspettatamente i due fronti rivali furono avvolti da una nebbia che si levò fittissima ed impedì la visibilità fino a rendere impossibile la prosecuzione della disputa. I norcini, da un lato, erano offuscati dalla densità nuvola, mentre dall’altro, gli abitanti di Capodacqua vedevano un’inattesa apparizione della Beata Vergine del Monte Carmelo, seduta in trono con in braccio il Bambino. Un uomo che combatteva per la difesa di Capodacqua, in quel momento di scompiglio e smarrimento, cercò di trarre vantaggio dalla situazione ed uccise un norcino per porre fine alla disputa e dar luogo al ripristino della regolare demarcazione dei termini territoriali. Come notano Narcisio Galiè e Gabriele Vecchioni la riproduzione pittorica della vicenda restituisce tutti gli elementi che compaiono nel racconto del miracolo, ossia: la nuvola con la Vergine, le montagne ed i combattenti, ma quest’ultimi appaiono dotati di armi da fuoco, strumenti che non esistevano durante l’età medievale. Gli stessi autori scrivono che l’ignoto pittore possa aver aggiunto questi dettagli per rendere più comprensibile il contenuto della sua opera ed aver idealmente traslato nella sua epoca quanto accaduto.
La storia dell’Oratorio continua e cerca di superare il rischio del cedimento mentre il suo fabbricato porta evidenti i segni delle ferite inferte dal sisma. La facciata principale e la cornice del rosone sono quasi completamente crollate e gli affreschi risultano compromessi e danneggiati. Il FAI (Fondo Ambiente Italiano) ha promosso una raccolta di fondi per dare avvio alle opere necessarie per il consolidamento, il recupero e la conservazione di questo prezioso luogo di culto.

Articolo del 7 settembre 2020, a firma Sandra Crisciotti