L’estate è sinonimo di gioia, di scoperte e di avventure. Le attrattive del nostro territorio sono tanto conosciute, ma spesso nelle località più famose il rischio è di incrociare folle di turisti e dover aspettare a lungo anche solo per scattare una foto o prendere il caffè in un bar. Scelgo di evitare le località affollate e per ovviare al problema preferisco godere della straordinaria bellezza delle nostre montagne in tutta tranquillità. “Che noia! “commenta la mia amica Milena: “fai sempre le stesse cose! “Lei è un’ex-modella che ama il Jet set, la vita mondana ed i luoghi pieni di vita e di ” movida”. Non perdo tempo ad interloquire con lei, so già che non può capirmi. Durante le vacanze parto sempre di buon mattino con l’aria ancora fresca e poca gente in giro. Le giornate agostane sono sempre radiose, sotto un cielo limpido ed il sole che già fa capolino sulla valle del Tronto. Dopo una decina di minuti sono fuori dal paese, con addosso una sensazione di grande leggerezza, una grazia pura e semplice che equivale ad un soffio o ad un respiro. Lo scopo è unico come l’obiettivo: essere solo e camminare. Sento nell’aria il profumo delle piante che sale dal sentiero, gli odori si sprigionano da sotto i piedi ed è bello sentire questa specie di essenza o “mosto profumato” provocato dal mio calpestio. Passo sotto una specie di tunnel oltre il verde fresco degli alberi di nocciolo e da lì prendo una salita vera e propria che dura circa un’ora, come tutte le salite è uno strazio ma dopo vengo premiato dalla visione di un grande prato, appena fuori dal bosco, anche lui in lieve salita ma sul quale i piedi camminano leggeri e soffici ricevendo un compenso dopo un certo sforzo. Intanto il giorno è spuntato da un pezzo, il sole è alto, i rumori assenti e voltandomi vedo la Consolare Salaria sotto di me con le auto che si muovono come ordinati giocattolini, in perfetto silenzio. Nessun clacson, nessuna imprecazione di gente al volante, la mia mente non è sporcata da un’idea e quelle auto laggiù nel fondovalle non mi disturbano. Il prato finisce e incomincia una vegetazione di cespugli bassi sopra un falsopiano che immette in una cresta boscosa attraversata da un’impercettibile stradina non facile da percorrere in fondo alla quale incomincia una lunga forra che si apre e chiude con improvvise strozzature tra le grigie rocce arenaree. Continuo a scendere attraverso fossi in ombra e poco prima di mezzogiorno arrivo ad Acquasanta Terme. Qui c’è la mia pasticceria preferita, che mi ricorda la mia infanzia, quando durante la festa di San Giovanni andavo con mio padre a spasso nel corso e non mi staccavo da lui per timidezza. Non entravo mai nei negozi, mi sembravano destinati solo ai signori di lusso. Ora ci entro spesso, il più delle volte sporco e sudato, Adalgisa, la mirabile pasticciera, mi sopporta e supporta, abbiamo in comune la discendenza agro-pastorale ed antichi avi briganteschi, senza tante smancerie mi stende i soliti “tartufi” alla crema Chantilly, da gustare lentamente, socchiudendo un po’ gli occhi per inebriarmi del dolce sapore zuccherato che sprigionano. Sono il mio doping, il mio vizio incancellabile. A volte penso che morirò assaporandone un vassoio intero. Comincio a scendere verso le Terme, tra turisti in t-shirt e bermuda che mi guardano come se fossi un residuo atavico, neanche me ne accorgo perché tra tanta storia sono preso da uno dei miei soliti dejà vu spazio-temporali. Oggi mi sento come un antico legionario romano che più di duemila anni fa aveva il privilegio di godere dei benefici dell’antica Vicus ad Aquas, la cui acqua sulfurea era decantata e rinomata per la cura delle ferite di guerra. A quei tempi le terme erano frequentate da tutti, ricchi e poveri, l’ingresso era gratis e vi si andava non solo per motivi di igiene o per curarsi ma anche per incontrare un amico, discutere di affari e politica e persino mangiare. Insomma erano un posto social reale e non virtuale. Quando scendo dalla piccola scaletta in ferro abusiva ma “tollerata” che porta lungo il fiume verso la “Pacca della Vecchia” , una piscina naturale costruita artigianalmente con i sassi del fiume sotto la cascata di uscita dell’ acqua sulfurea della vecchia grotta sudatoria, mi sembra di entrare nell'(apodyterium), che era lo spogliatoio delle antiche terme e qui appoggio i miei abiti e lo zaino sui rami degli alberi. Il percorso è compiuto ed ora mi immergo nel ( tiepidaria) della piscina dove mi faccio cullare dal tepore dell’acqua sulfurea e massaggiare dagli spruzzi della cascata, “natural idromassaggio “. Dopo aver goduto di questo bagno rigenerante mi tuffo nel (frigidarium) cioè l’acqua fresca e dolce del fiume Tronto, quello che ci vuole per temprare il corpo e la mente e per liberare i pori della pelle. Il percorso da antico legionario romano bisognoso di cure a questo punto è concluso ed abbandono le mie fantasticherie spazio-temporali. Del tutto soddisfatto posso tornare a casa in autobus, mi aspetta un lauto pranzetto. Carpe diem Victori, carpe diem!
Vittorio Camacci
A chi conosce i posti rimane più semplice chiudere gli occhi ed immaginare lo scenario del racconto. Bravo Vittorio a mescolare antico ed attuale e a lasciare sempre quel desiderio di essere con lui in quei momenti…