E’ una fredda mattinata autunnale ed il vento rumoreggia attraverso i rami spogli degli alberi, provocando un suono molto particolare come un lieve tambureggiare. Il villaggio SAE è ancora addormentato. Le strade sono deserte ed i finestroni di legno delle casette sono ancora chiusi. Il sommesso fruscio del vento è interrotto soltanto dall’ abbaiare lontano di un cane, che spezza la quiete, mettendomi addosso una strana inquietudine. Il sole sta sorgendo mentre, lentamente, si alza anche un leggero strato di bruma, come un grande sipario trasparente. La neve sulla cima del Vettore comincia a brillare sotto i fievoli raggi del sole e pian piano diventa dorata. Tutto si sta svegliando, il villaggio che poco fa sembrava disabitato adesso comincia a dare piccoli segni di vita. Si aprono le pesanti imposte di legno delle finestre, si accendono con un rombo, i motori di alcune auto parcheggiate, un piccolo autobus di linea si ferma per far salire dei bambini che vanno a scuola portandosi sulle spalle pesantissimi zainetti rigonfi di libri. Osservando il villaggio sembra che tutto sia perfetto: le casine pastello con i tetti di legno, le tendine di pizzo alle finestre, i giardinetti ben curati, puntellati qua e là di aiuole, che nella stagione estiva erano piene di fiori ed ora sono spoglie e ricoperte di qualche foglia ingiallita. Il tutto da impressione di vivere come in una favola. Eppure, mentre dalla mia cucina, avvolta da una dolce penombra, osservo le folate di vento che trasportano leggere e cromatiche foglie, penso che si sta apprestando il terzo inverno che passiamo qui, tra silenzi, desolazione e promesse mancate. Purtroppo siamo persone dimenticate, per lo più anziane, che si sono viste cambiare la vita da un giorno all’ altro. Per il governo siamo scomodi quando chiediamo maggiore attenzione mentre per i nostri connazionali siamo un fardello che pesa sul ” groppone ” della Nazione. Tutti si sono dimenticati che ci era stata promessa una ricostruzione, ci avevano asciugato le lacrime con pacche sulle spalle e sussurri dietro le orecchie per darci nuove speranze. Invece hanno creato una distruzione sociale, una specie di ” guerra fredda ” tra vittime, nella logica sempre funzionale del ” divide et impera “, un paese civile vuole il benessere del cittadino, lo accompagna dalla nascita alla morte attraverso le istituzioni create ad hoc dai Padri della Democrazia, invece qui si è tornati alla illogica soluzione dell’ ” homo homini lupus “, mettendo l’ uno contro l’ altro, spaccando quello che restava dei paesi in fazioni : chi ha già avuto casa, lavoro e quant’ altro e chi assiste impotente e vessato agli evidenti e plateali favoritismi elargiti ai suoi compaesani. E’ la cronaca miserabile di questi giorni, il ” leitmotiv ” che dura ormai da tre anni, tra arquatani di seria A e di serie B : persone che dovranno passare un’ altro inverno avvolti dal freddo, dalla paura e dalla solitudine, che esistono e resistono sui luoghi delle rovine, rassegnati alla disperazione e persone per le quali il terremoto è stato come una ” manna ” dal cielo. Tutto questo grazie ad una politica egocentrica, manovrata dai potentati e dagli speculatori, sempre in campagna elettorale, che ci ha trasformato in un popolo diviso, naufrago sulla sua terra, senza più bandiera e senza più approdo. Tutto questo mentre ci prepariamo a festeggiare un altro Santo Natale, come sempre con la nostra dignità e con le nostre usanze. Abbiamo perso le nostre dimore, alcuni paesani, ma non abbiamo smarrito la nostra storia e abbiamo capito che se vogliamo rimanere qui dobbiamo sopravvivere come i nostri avi, rubando alla terra con le unghie e con i denti. Queste non sono macerie di morte, sono macerie di vita !

               Vittorio Camacci