L’ uomo che ha Fede è fortunato. La Fede è speranza, l’ uomo che abbandona questa speranza è un disperato. Nel medioevo le nostre terre erano principalmente abitate da pastori, contadini, carbonai ma anche da “trovatori” estemporanei, fraticelli , un po’ santi, un po’ eremiti, un po’ filosofi, un po’ poeti. Come Frate Angelo da Chiarino o prima di lui Santo Amico di Avellana che si ritirarono nella montagna sovrastante l’ abitato di Colle d’ Arquata per sfuggire alla persecuzione inquisitoria e per vivere solitari e penitenti. La maggior parte di essi ebbe Fede profonda, pur non avendo studiato, pur non sapendo quasi niente di teologia e di scienza. Questa forma di fede popolare, di saggezza verso grandi quesiti che da sempre l’ uomo si poneva ebbe un suo intrinseco ed inestimabile valore che oggi purtroppo si è perso. Se pensiamo al comportamento della maggior parte del popolo arquatano di oggi possiamo trovare con difficoltà gli aggettivi : coraggioso, lieto, povero, umile, semplice, buono, che parlano ad alta voce di alcune virtù care a San Francesco di Assisi. Ma quasi 700 anni fa ci fu un nostro concittadino che imitò alla perfezione il “poverello di Assisi”; un laico converso all’ Ordine dei Minori Francescani che sfidò il Papa e tutta la corte della ” Cattività Avignonese ” pur di difendere il suo credo ed i suoi voti : ( Dove c’è povertà e letizia, là non c’è cupidigia ed avarizia ). Fra Francesco, figlio di poveri contadini, da giovane aveva lavorato la terra e nella fatica aveva accresciuto la sua virtù evangelica ascoltando le prediche dei Fraticelli che vivevano numerosi sulle nostre montagne. Il resto lo fece la Provvidenza che nel silenzio della montagna gli suggerì la strada da seguire : quella di essere povero tra i poveri , come Gesù, come discepolo di San Francesco. Incredibile fu la sua capacità di obbedire ed obbedì alla lettera fino a rasentare l’ incoscienza… Un esempio fu quella volta in cui il superiore del convento lo incaricò di sorvegliare la porta : ” Appena senti bussare lascia tutto e corri ad aprire “. Una mattina Francesco si trovava in cantina, intento a spillare il vino per il refettorio. Ecco che sente bussare alla porta, con la brocca semipiena in mano corre ad aprire ma per strada si imbatte nel padre superiore versandogliela addosso : ” Dove vai fratello con la brocca in mano ? ” Egli rispose : ” hanno bussato Padre e voi mi avete comandato di accorrere subito ! ”  Con un tentennamento della testa il superiore lo ammonì : ” Andiamo non essere così maldestro, va ad ” infornarti ” ( era per modo di dire  : sparisci dalla mia vista ). ” Va bene Padre ! ” disse Frà Francesco. Il giorno dopo il frate panettiere lo trovò chiuso nel forno in cui era solito cuocere il pane.  In quegli anni la situazione del suo ordine non era delle migliori perché  mentre il Capitolo Generale dei Frati Minori, nel 1322, ribadiva fermamente che Cristo e gli Apostoli nulla avevano posseduto, né in comune, né in privato dall’ altra parte Papa Giovanni XXII condanno questa proposizione come eretica. Iniziò così uno scontro aperto tra i Papi della ” Cattività Avignonese ” ed i Frati Minori. Il Ministro Generale dei Frati Minori Michele da Cesena, sospettato di tramare contro il Papa in accordo con Ludovico IV, detto il Bavaro fu sottoposto a processo in Avignone  ma protestò ed in un’ atto di aperto dissenso la sera del 23 maggio 1328 fuggì da Avignone e si rifugiò a Pisa sotto la protezione di Ludovico il Bavaro, imperatore scomunicato. Il Papa scomunicò anche lui insieme a tutti i suoi complici. Per tutta risposta, nel febbraio del 1329, alla presenza dell’ Antipapa Niccolò V , Giovanni XXII fu dichiarato eretico e si bruciò la sua immagine nella piazza di Pisa. Allora un indignatissimo Giovanni XXII nel giugno del 1329 elesse Ministro Generale dei Frati Minori il suo amico Geraldus Odonis che accusò il cesenate di una serie di delitti e di essere proprietario di beni. Il 4 dicembre del 1334 Giovanni XXII muore e gli succede Benedetto XII che a sua volta non si dimostra tollerante verso Michele da Cesena. Arriviamo al 1338, dieci anni sono trascorsi dalla ribellione : due Papi si sono succeduti, nulla è cambiato ed il destino dei seguaci di Michele da Cesena può diventare tragico da un momento all’ altro. L’ ” eretico” Michele da Cesena morì il 29 novembre del 1342 ; tutti i suoi seguaci e dissidenti, dopo aver rilasciato un ampia e completa ritrattazione di quanto avevano sostenuto vennero rintegrati e riammessi nell’ Ordine e nella Chiesa. Alcuni di loro non accettarono questo dietro-front ed ostinatamente andarono incontro ad un triste destino. Nei territori marchigiani questi dissidenti francescani avevano una forte radice, venivano chiamati ” Barlozzari ” oltre che ” Fraticelli ” , ” Bizocchi ” o ” Frates de Paupere Vita ” . Fu anche organizzata una crociata militare per estirparli dal territorio che culminò con varie condanne a morte ma alcuni di loro riuscirono a fuggire e si rifugiarono nella Francia del sud. All’ inizio della seconda metà del XIV secolo molti avevano sentito parlare di due fraticelli francescani che, animati da un forte sentimento di fede e da un grande ideale di povertà, percorrevano le strade della Francia Meridionale, itinerando di paese in paese per predicare la dottrina cristiana in base agli insegnamenti di San Francesco di Assisi. Poveri, obbedienti e casti i due francescani : Frà Giovanni da Castiglione e Frà Francesco D’ Arquata predicavano l’ umiltà, l’ ascetismo e la fraternità universale. Arrivati nella città di Montpellier, luogo di sosta per i pellegrini diretti a Santiago de Compostela, lungo la cosiddetta ” Via di Tolosa” e famosa anche per la sua università dove Petrarca iniziò gli studi ; cominciarono a predicare contro il lusso in cui versava la Chiesa in particolare quello della Corte Avignonese. Il Mezzogiorno Francese era a quei tempi la culla dell’ eresia e dei ” trovatori ” . Era la Francia acculturata e semplice pronta a ricevere nuovi impulsi dall’ esterno , il bastione dei Catari, la croce e delizia dei Cagoti, antichi maestri costruttori dell’ Ordine del Tempio. Quale posto più ideale per i due francescani che volevano vivere secondo i Vangeli, nella povertà più assoluta ed in preghiera opponendosi al fasto ed alla corruzione della Chiesa. Per le autorità ecclesiastiche le prediche dei due fraticelli , che riunivano folle di fedeli, potevano essere pericolose nel clima inquieto di quegli anni oscurato dalle sette eretiche. Le imprese dei due ” Torzoni ” giunsero nelle orecchie del Papa Innocenzo VI che mandò l’ inquisitore ad arrestarli. Furono condotti in prigionia a Carcassonne , splendida città-fortezza occitana con doppia cerchia di mura e 53 torri e solo successivamente furono portati al cospetto del Papa ad Avignone. ( In quell’ epoca sede papale perché dopo lo ” Schiaffo D’ Anagni ” in cui Sciarra-Colonna aveva umiliato Bonifacio VIII, reo di voler definire la supremazia del potere spirituale della Chiesa sulla monarchia di Filippo ” Il Bello “, per una serie di motivi Roma era ormai insicura perché la nobiltà della ” Città Eterna era dilaniata da lotte intestine ed alla fine per comodità dopo la morte di Benedetto XI fu eletto un Papa francese. Per una serie di motivi era cominciata la ” Cattività Avignonese ” e con Clemente V ci fu il trasferimento del Papato da Roma ad Avignone ). Davanti al Papa i due frati ebbero la possibilità di smentire le loro predicazioni, ma essi coraggiosamente e senza alcun timore non solo le ripeterono ma misero per iscritto l’ illegittimità dei Papi : Giovanni XXII , Benedetto XII , Clemente VI  ed lo stesso Innocenzo VI considerandoli indegni. Tale spregiudicatezza gli costò la vita. Il 3 giugno 1354, tre giorni dopo la Pentecoste, furono arsi sul rogo alla presenza del Papa. Affrontarono il fuoco con incredibile coraggio e serenità. Mentre le guardie li conducevano al rogo e li legavano ai pali, sopra le fascine, cantavano con voce ferma il Cantico degli Angeli : ” Gloria in Excelsis Deo “. Continuarono anche quando le fiamme cominciarono a lambire i loro sai, smisero solamente quando il fumo li soffocò. La grande folla presente rimase impressionata dal coraggioso comportamento dei frati; durante il supplizio moltissimi s’ inginocchiarono è una volta spente le fiamme cercarono i tizzoni ancora caldi come reliquie dei ” Veros Martires “. Ma le guardie dispersero la folla e gettarono impietosi le ceneri nelle acque del Rodano.

           Vittorio Camacci