DI Piedilama ricordo le partecipatissime festicciole di Sant’Egidio, nella piazzetta circondata da una miriade di casette antiche, come rimembro vivamente ancor oggi Virginia seduta su una sedia di legno, una vecchina piccola, piccola con un fazzoletto annodato sul mento; eppure i paesani più anziani mi dissero che da giovane era bella con un cespuglio di capelli ricci di un nero corvino ed un visino da fata. Virginia aveva due pregi, un bel sorriso ed un grande cuore. C’era tutto il mondo riflesso nei suoi occhi ed a guardarci dentro ti sembrava di perderti in luoghi infiniti.

Da bambina rideva sempre, a Piedilama si raccontava che fosse nata ridendo, pallida come la neve e con una fame da lupa. Il tempo era corso via inesorabile, con sole e luna che si alternavano in cielo e Virginia che continuava a ridere portando allegria in tutto il paese.

Tutte le volte che la mamma la perdeva di vista, sgattaiolava via dalla cucina alla scoperta del mondo che la circondava. E così aveva conosciuto Erminia, bussando ad una delle porte più vecchie del paese, Erminia ” la strega ” che conosceva tutte le erbe, tutti i funghi ed era capace di guarire qualsiasi malanno.

Pian, piano Virginia divenne donna, i capelli ricci si erano fatti lunghi, i fianchi graziosi e morbidi, le gambe tornite ed il seno prosperoso. Virginia continuava a bussare alla porta di Erminia che invece con il tempo si era ingobbita, suo malgrado, ma aveva insegnato alla ragazza tutti i segreti che conservava, tutte le formule e gli amuleti per combattere i mali e per rimediare alle pene del cuore. Un giorno uscendo dalla casina di Erminia, Virginia incontrò Giuseppe, un giovane falegname che lavorava in una bottega vicino. Si innamorarono e misero su casa a Piedilama. Lui un giorno intagliò una bellissima culla e così Virginia capì che il suo amato marito voleva un figlio. In quei tempi non era facile avere figli, eppure vollero provare ugualmente, ma la giovane sposa lesse che gli astri, il sole e la luna non erano d’accordo ed il figlio non arrivava.

Virginia allora provò ad utilizzare tutti gli insegnamenti di Erminia e la sera prima della ” Notte di San Giovanni “, preparò ” l’Acqua Rosata ” immergendo nell’acqua di fonte spighette di lavanda, rose selvatiche, foglie di noci, malva, sambuco, ” Frunnusella ” e ” Zezzemino “. Alle prime luci dell’ alba, del 24 giugno, si lavò con quell’acqua e si purificò con la ” guazza” rotolandosi in un fioritissimo prato. Non soddisfatta di tutto ciò si recò, in corriera, alla festa patronale di Acquasanta Terme, confondendosi tra l’enorme massa di fedeli, giunti anche dal vicino Abruzzo, e si bagnò nella piscina delle antiche terme, dove per intercessione del Santo poteva avverarsi il suo desiderio di maternità.

Malgrado l’uso di tutti questi espedienti, il figlio non arrivava, allora una sera piangendo si recò da Erminia che ascoltò la sua disperazione, lo sguardo della vecchia si fece duro e trasparente, poi esclamò : ” tu stai male ma sai benissimo che il tuo bimbo non nascerà perché gli astri non sono d’ accordo. Io non posso farci niente ! ”

Da quel giorno Virginia perse il sorriso ed anche i suoi occhi divennero opachi e tristi.

Poi arrivò la luna piena di luglio ed una notte udì un suono vibrante fuori dalla finestra. Si stropicciò gli occhi, come faceva quando era bambina, come un gatto. Non aveva più sonno, aveva sete di buio, aveva fame di luna e di ombre. Si mise addosso una sottoveste di lino pesante, ruvida sui seni e carezzevole sul ventre, scalza ed al buio uscì dalla casa aprendo l’ uscio silenziosamente. Il fresco della notte la svegliò definitivamente e Virginia vide la luna piena indiscussa matrona di un cielo privo di nuvole che illuminava i prati ed il bosco di una luce azzurrognola e stagnante, benevola e magica. Per la prima volta si sentì protagonista della sua vita, sola con i cani dei pastori di Pretare che abbaiavano in lontananza e le cicale che frinivano dietro le siepi. Aprì il pesante cancello di ferro battuto e camminò a piedi scalzi alla ricerca di erbe curative che conosceva a menadito : camomilla, sambuco, malva, valeriana, l’ iperico, l’ artemisia, la verbena, la felce ed il ribes. Ne fece medicinali ed amuleti mentre il cuore le balzava forte, d’ansia, di timore, di gioia.

Per molto tempo, avere un figlio, era stata la cosa che aveva desiderato più di tutto ed il figlio finalmente arrivò e con lui venne anche la paura che quel bimbo, tanto desiderato, morisse dentro di lei. Rimase incinta a settembre avendo sempre la nausea ed ogni giorno vomitò bile. Quando arrivò il momento volle Erminia vicino a se. Gli sembrò di partorire un uragano, un rotolo di filo spinato, in un dolore insopportabile. Quando Erminia gli mise in braccio quel frugoletto, pieno di vernice caseosa, che non gli assomigliava, provò un senso di smarrimento, di paura, di confusione, di inadeguatezza. Ma quando i suoi occhi incontrarono quelli di Francesco si scatenò in lei una fortissima gioia che le fece sentire l’odore viscerale del figlio dandole una scarica di adrenalina che la rese madre per sempre, riportandole il suo miracoloso sorriso nelle labbra e negli occhi.

Vittorio Camacci