Arquata, Piazza Umberto I°

Chi di noi non ricorda la piccola e graziosa piazza nel centro della nostra Arquata?

Purtroppo, dopo il sisma del 2016, non esiste più nulla e sono state portate via anche le ultime macerie di quegli edifici pubblici e privati che costituivano un tempo il centro amministrativo, sociale ed economico della comunità.

La “Torre Civica” (secolo XV) con le sue due campane (la maggiore fusa nel 1585, l’altra nel 1661) e la lapide commemorativa (progettata dall’architetto Vincenzo Pilotti) dei caduti della prima guerra mondiale; l’antico “Palazzo Priorale” (un tempo sede della Pretura e recentemente ospitava anche l’Ufficio Postale); la fontana detta “della lavandaia” (statua in travertino, realizzata dallo scultore ascolano Antonio Mancini); i bar e le attività commerciali di vario genere (esistenti prima dello spopolamento di fine secolo scorso); il “Municipio” (collocato sul lato est della piazza) con il suo continuo viavai di persone provenienti da tutte le frazioni del circondario che vi si recavano per risolvere le varie esigenze burocratiche e amministrative.

Nel prosieguo delle mie ricerche per una sistematica ricostruzione della storia di Arquata, mi sono imbattuto in una spigolatura, un singolare e curioso articoletto pubblicato nel 1974 sull’Eco delle Sorgenti (Bollettino Parrocchiale di Capodacqua e Pescara, diretto da Enzo Tavoletti storico e ricercatore degli usi e costumi locali), che riporta un episodio accaduto intorno agli anni 1940-50:

Questo gustoso fatterello, accaduto proprio ad Arquata qualche decennio addietro, quando la macchina era una rarità, potrebbe ripetersi oggi che viaggiare in automobile è proibito nei giorni festivi.

La piccola Piazza di Arquata stentava a contenere i chiassosi villici giunti dalle varie contrade sul dorso di variopinte cavalcature.

Il chiasso incontenibile avrebbe imbestialito il più placido degli asinelli.

La lunga fila degli anelli, sotto le finestre del palazzo Municipale, era già esaurita fin dalle prime ore del mattino. Le bestie, infastidite da noiosissimi mosconi, scalpitavano, ragliavano e sbuffavano rumorosamente.

Dalla finestra del primo piano del Palazzo, una voce concitata grida:

Fate zittire questi somari, ché disturbano quelli di sopra!

 

Articolo del 31 agosto 2020, a firma Gabriele Lalli