E’ affasciante il paesino di Favalanciata, una frazione ad ovest di Acquasanta Terme, che si erige sopra l’ Antica Salaria su di un costone arenario sulla destra orografica del Fosso Rigo. Il suo centro abitato, caratteristico e originale, è composto da case costruite in pietra locale, l’ arenaria, edificate in gran parte in epoca rinascimentale, sopra preesistenti abitazioni più antiche. Intorno il territorio è caratterizzato dalla presenza di numerose grotte tufacee e pareti montane che si gettano a strapiombo lungo il corso dei torrenti e del Fiume Tronto. Dal centro abitato partono sentieri che si dirigono a sud verso i paurosi contrafforti della Laga ed a nord verso l’ abitato di Capodirigo ed i Sibillini. Il torrente Rigo che si trova sul fianco del paese, scorre veloce nella profonda gola, tra decine di cascatelle per poi finire la sua corsa sulla sinistra orografica del Tronto. L’ origine del nome rimane misteriosa e c’ è una leggenda che racconta di un contadino che seminava fave e quando queste non spuntavano, disperato esclamava : ” Quanta fava lanciata “! Io non credo che l’ origine del nome derivi da questa storiellina ma da antichi riti propiziatori che risalgono a tanto tempo fa. Nell’ antichità le fave erano considerate un alimento impuro e mangiarle avrebbe provocato visioni ed incubi. I pitagorici credevano che la fava fosse il simbolo dell’ incessante ciclo di vita e di morte nella caverna cosmica. Nell’ antica tradizione romana le fave erano presenti sia nei riti funebri che in quelli propiziatori, ad esempio : la notte di San Giovanni le giovani svolgevano riti con le fave per conoscere il futuro, quindi esse erano considerate uno strumento oracolare oltre ad essere un talismano. Nella festa delle ” Kalendae Fabaria ” ( Le Calende delle Fave ), che cadeva il primo giugno, il legume era la centro di un rito in onore della Dea Carma, che tutelava i cardini degli usci. Siccome la Dea Carma, epifania della Grande Madre, dona la vita ma raccoglie anche i resti dei propri figli è normale che le piante e gli animali ad essa consacrati abbiano una duplice valenza di vita e di morte. Quindi quando un personaggio importante veniva sepolto c’ era l’ usanza di gettare le fave nella tomba. Per questo le fave si consumavano anche nei pasti funebri i ” Silicernium “, da qui derivano i dolcetti bianchi ed a forma di fava  fatti con pasta di mandorle detti ” fave dei morti “. Le fave si mangiavano anche durante i ” Feralia ” in cui si commemoravano gli antenati : in onore della Dea Tacita Muta si deponevano tre granelli d’ incenso sotto la porta di casa, si facevano girare intorno ad un fuso a forma di rombo dei fili incantati e si rigiravano in bocca sette fave nere per poi gettarle dietro la schiena. Dall’ unione tra Mercurio e Tacita Muta nacquero i Lari che avevano il compito di vegliare sui crocicchi e sulle case. Gli antichi credevano che per avere buoni auspici bisognava fare sette volte il giro di un luogo sacro con un pugno di fave nella mano sinistra e poi gettarle in un ruscello. Il grande poeta Publio Ovidio Nasone, nato a Sulmona nel 43 a. C. , riportò questo rito :           << purifica le mani nella corrente di fonte, volgiti e metti in bocca nere fave, poi gettale all’ indietro dicendo : ” le getto e con queste fave me ed i miei parenti redimo “! >>. Con la diffusione del cristianesimo scompare ogni traccia oracolare del legume , che diventa importante come alimento delle comunità religiose, soprattutto benedettine. le fave acquistano una patina di sacralità come si trattasse di un dono elargito dal cielo, in quanto era il primo legume destinato a sfamare i diseredati ceti sociali rurali. Ecco che diventò assai importante il rituale noto come ” Benedictio Fabarum Novarum ” il quale si svolgeva davanti ai conventi benedettini : le fave secche venivano bollite e distribuite con una scodella ai confratelli dal frate vivandiere al quale venivano baciate le mani, poi veniva aperta una porta laterale e veniva distribuita la stessa scodellata di fave calde ai fedeli in fila. quindi l’ umile e sostanziosa fava proiettò la sua importanza oltre i confini del medioevo e si confermò un mezzo di sostentamento  fondamentale grazie al quale i poveri ceti sociali si sottrassero alla morte per fame. Tuttavia nella narrativa popolare ho raccolto una testimonianza rara e preziosa sulla nascita di Favalanciata dimostrante che la fava sia stata mandata  dalla Divina Volontà per lenire la fame che attanagliava gli abitanti del paese in epoche buie.                             ” Dopo l’ inverno, durante un periodo di carestia del mese di aprile, la gente di quel posto era stremata dalla fame e pertanto chiese aiuto a San Sebastiano, il suo protettore. Il santo non rimase sordo al richiamo dei suoi fedeli e chiese aiuto al Signore tramite la sua intercessione. Il Signore si affacciò dalle nuvole e vide quel paesino tutto circondato da scogli sassosi, anch’ egli aveva dimenticato quel posto e non sapeva come fare per aiutare quel popolo che traeva la sua sussistenza dalla poca terra che zappava tra i massi. Così lanciò con violenza e rabbia un pugno di fave dal cielo, che bucarono anche la roccia arenaria di un costone, generando ” Lù Finestrò “, e si conficcarono nelle piccole chiazze di terra intorno al paese generando innumerevoli e floridi orti di fave che sfamarono la popolazione. San Sebastiano benedì allora i campi di fave dicendo : ” Che voi possiate essere per sempre il pane di questa povera gente”!                                                                                                        

Oggi le coltivazioni in serra e la velocità di distribuzione dei prodotti agroalimentari hanno annullato il ciclo naturale dei prodotti agricoli per cui in gran parte dell’ anno le fave fanno bella mostra di se nei negozi più accreditati ed è venuta a mancare anche l’ attesa del mese di maggio per gustare le prime fave da accompagnare con il fresco pecorino dei nostri monti. In questi giorni funesti siamo rimasti basiti quando il mitico ” Finestrò ” è crollato ( sappiamo benissimo che la sua forma particolare era dovuta agli agenti atmosferici ed all’ azione corrosiva di acqua e vento esercitata per moltissimi anni sulla roccia ), proprio ora che la fava, in gran parte sparita dal nostro orizzonte culturale e con essa un importante aspetto del nostro passato rurale ed alimentare, aveva trovato una nicchia nei gourmet internazionali con la crema creata dagli abitanti del paese. A me piace pensare che aldilà delle leggende il nome Favalanciata  derivi dagli articolati riti funebri del mondo antico, tutte le tracce storiche lo confermano insieme al fatto che la natura segue il suo corso e nulla dura in eterno… tuttavia quando passo sull’ Antica Salaria vedo Favalanciata sempre lì, ancorata alle sue tradizioni ed alle sue rocce millenarie e questo mi da un certo senso di serenità che è difficile descrivere a parole.

                Vittorio Camacci