La Maga Sibilla era la Regina delle Fate ed era conosciuta da tutti la sua sorprendente bellezza. Pastori e cacciatori che s’ inerpicavano lassù, sulle cime ardite dei Monti Sibillini, dove soffiava un vento infernale, restavano incantati da tanta bellezza e avrebbero dato qualsiasi cosa per incrociare il suo fascinoso sguardo magnetico e finire i loro giorni nella sua grotta. Infatti, tutti quelli che miracolosamente giungevano al suo cospetto, rimanevano imprigionati eternamente nella montagna, perché una legge implacabile impediva che la Maga potesse unirsi ad un mortale. Era per questo che la Maga Sibilla aveva un cuore crudele : attirava presso la sua grotta i malcapitati, li accoglieva benevolmente, poi, sul più bello, appena essi s’ innamoravano di lei, le sue fate e migliaia di mazzamurelli circondavano il pretendente e lo spingevano verso l’ abisso scuro della grotta dove rimaneva imprigionato per sempre. Un giorno un giovane pastore, il più bello che fosse mai venuto al mondo, vide la Maga Sibilla passeggiare sulla “sella” del Vettore in una rosata aurora di maggio e ne rimase affascinato. Tornato a Pretare non aveva più trovato pace e giorno e notte non pensava che a lei. Era timido ed ingenuo e tutti i giorni si spingeva negli alti pascoli del Vettore per poterla rivedere. La Maga, commossa da questa testarda ammirazione, cominciò a mostrarsi spesso al giovane che sempre si sedeva ai suoi piedi, taciturno, stando ore intere a contemplare la sua estrema bellezza, senza nemmeno muoversi, incantato dal suo fascino. Forse, senza avvedersene la Regina delle Fate, gli si era affezionata e se non ci fosse stata la terribile legge della montagna e del destino a vietarle le nozze con un mortale, quello era l’ unico essere umano del quale ella si era innamorata. Le fate ed i mazzamurelli se ne erano accorti e temendo che la loro padrona potesse trasgredire l’ infallibile legge della montagna, di loro spontanea iniziativa e senza aver avuto un ordine dalla loro Regina, lo attorniarono e lo spinsero nell’ abisso sottostante. Era il tramonto e le rocce del Vettore si arrossarono per l’ ultima carezza dei raggi del sole. Dall’ alto la Maga Sibilla aveva visto ogni cosa ed il suo cuore di ghiaccio, per un’ attimo, si sciolse e dai suoi occhi divinamente belli scesero calde lacrime che, rotolando giù, come vive perle, sulla superficie levigata delle pietre calcaree, scesero tra le rupi e li si fermarono trasformandosi in piccole stelle d’ argento. Così nacquero le stelle alpine del Vettore, che spuntano proprio sul margine dei precipizi della montagna, per ricordare, agli audaci che vogliono coglierle, sfidando il pericolo, l’ antica storia d’ amore e di morte del bel pastore che con la sua semplicità entrò nel cuore della terribile e spietata Maga Sibilla.

                     Vittorio Camacci