Si viveva così, nell’ intervallo ch’ è tra il balocco ed il mondo
La
fortuna di vivere bambini in questi paesi di montagna era quella di
poter giocare in assoluta libertà. Il gioco è un repertorio prezioso che
ci ha trasmesso un linguaggio, un sapere, un’ esperienza, una memoria.
Gli adulti che non hanno giocato da bambini saranno poi crudeli e
maligni. Oggi i giochi sono prodotti dalle industrie, la TV ed i
computer. hanno ucciso la creatività dei ragazzi eliminando i segni
educativi del gioco: il movimento, la comunicazione, la fantasia, l’
avventura, la costruzione, la socializzazione. Un tempo con poco si
sopravviveva alla noia. Noi giocavamo con i sassi, con i gessetti con
cui segnavamo la ” campana” . Creavamo così i nostri spazi, immensi
giochi dell’ oca che duravano una vita, vincevano la morte in un passare
del tempo che volevamo non finisse mai. In questo regno diviso tra la
natura e le case di pietra giocavamo all’ infinito, in un tempo sospeso,
magico, straordinario. Usavamo tutti gli oggetti possibili
sequestrandoli agli adulti, imitavamo i loro movimenti ed i loro
mestieri. Giocavamo anche con le parole, con le filastrocche, con i
simboli . il gioco diventava così linguaggio, comunicazione, voglia di
raccontare. La scuola era un impegno più che sufficiente, anche se
essa attraverso i mitici ” Giochi della Gioventù ” ci aveva reclutato
per lo sci di fondo e per le campestri provinciali. Datosi che la
maggior parte dei nostri genitori non aveva automobili, degli
incaricati del Provveditorato e delle società venivano a prenderci dalla
città con vecchi pulmini gialli per portarci sulle piste da sci o sul
campo di atletica. Ci fornivano gratuitamente anche l’ attrezzatura che
era spartana ed inadatta : tute con elastici stretti che serravano
polsi e caviglie, vecchi sci di legno pesantissimi da adulto riadattati
e scarpe chiodate che sembravano di ferro rigido. I maestri erano
severi e non mancavano gli scapaccioni e le pedate. Ecco perché
preferivamo correre tra i vicoli, sui prati, nei boschi, a giocare
simbolicamente, narrativamente. Ci raggruppavamo, ci relazionavamo.
Crescevamo così, sottratti al tempo cronologico storico per entrare in
un mondo fantastico in cui ci creavamo una nuova dimensione, che non era
una perdita di tempo, ma un modo di crescere consapevolmente,
liberamente. ” Mantieni il tuo volto pieno di sole e non potrai vedere
l’ ombra ” . I giochi li facevamo prevalentemente per strada e nei tanti
spazi che la natura ci concedeva. C’ era il piacere di fare parte del
gruppo, di mettersi alla prova superando le difficoltà. Se pensiamo ai
giochi di oggi, quelli elettronici, in cui il bambino non è soggetto
attivo ma è spettatore, noi eravamo l’ esatto contrario. Noi giocavamo
con il mondo e la natura che ci circondava. Certo non ci mancavano le
trottole, i palloni, le bambole ma quello che più amavamo erano i giochi
tra di noi, tra le viuzze del paese. ” Il nascondino “, ” l’
acchiapparella ” erano per noi una potente vaccinazione che ci liberava
dai dolori, dai conflitti interni, dalle frustrazioni, dai rimproveri
sbagliati e severi. Con il ” nascondino ” diventavamo arditi,
coraggiosi, giravamo l’ angolo delle cantonate, ci infilavamo nei
fienili oscuri, gli anfratti, imparavamo ad allontanarci dalle certezze,
dalla gonna materna. Se oggi entriamo nelle camere dei nostri bambini,
troviamo giocattoli sofisticatissimi, elettronici, artificiali, noi
invece i nostri giochi c’ è li costruivamo da soli come ” lu carrarmate ”
che era un rocchetto di legno vuoto, reso dentellato fatto muovere da
un elastico avvolto in un bastoncino. Chi non ricorda poi la ” lizza”
che consisteva nel far saltare in aria un corto bastoncino battendolo al
volo con un bastone ad una delle estremità per mandarlo il più lontano
possibile ( una sorta di baseball di casa nostra ). C’ erano poi il ”
ruba-bandiera “, i ” girotondi “, ” i quattro cantoni”, le figurine, le
biglie, i tappi di bottiglia, le fionde, gli archi con le frecce, le
carrozzine costruite con i legno ed i cuscinetti delle auto, le slitte,
la ” cavallina ” , ” acqua, fuoco, fuochino “, la ” moscacieca “, la
corda da saltare, le cerbottane . Particolari erano anche i giochi delle
feste : la corsa con i sacchi, il tiro alla fune, l’ albero della
cuccagna, lo ” scoccia-pignatte “. Un altro giocattolo simpatico che
creavamo da noi era ” lu frulle ” . Si prendeva un grosso bottone da
cappotto o una castagna grossa o delle coccole di cipresso o anche una
scatola vuota di lucido delle scarpe a cui si facevano due buchi . Si
infilava in questi oggetti un pezzo di filo resistente che poi si
annodava. Era una gioia sentirlo frullare tenendo il filo con le due
mani. C’ erano poi giochi che accumunavano abilità e forza atletica come
” lu infilà li zippe ” da fare sotto ad un pagliaio di fieno. Quando il
pagliaio era consumato e assomigliava ad un torsolo di mela
ripetutamente morso, noi ragazzi dovevamo correre verso il pagliaio con
uno ” zippe ” appuntito e contemporaneamente spiccare un salto,
arrampicandoci per infilare il bastone più in alto possibile, fra gli
starti di foraggio pressato. Quante matte risate per gli inevitabili
capitomboli all’ indietro. A volte prendevamo dei cerchi di botte di
ferro e li facevamo girare con l’ aiuto di un bastone, era un
particolare gioco di abilità con interminabili corse in discesa sognando
di guidare in futuro una bicicletta o un motorino. Uno dei giochi più
antichi era ” lu battimure ” che si giocava all’ aperto a ridosso di un
muro, con monetine quando eravamo ” ricchi ” o con i bottoni quando i
soldi li avevamo spesi per un gelato. Si trattava di lanciare, dopo un
sorteggio con la conta delle dita, le monete contro il muro in un punto
stabilito da dove dovevano rimbalzare al suolo chi riusciva a far cadere
la propria moneta ad un palmo dalle altre se ne impossessava. Poi
c’erano i giochi delle ricorrenze religiose come la ” scuccetta ”
propria dei giorni pasquali. il nome aiuta a capire il significato. Un
uovo sodo tenuto ben stretto in mano, con la punta in alto, doveva esser
colpito dall’ avversario con in mano un’ altro uovo sodo con la punta
in basso. L’ uovo che si rompeva diventava proprietà del fortunato
possessore dell’ uovo rimasto integro. C’ era la ” ruzzola ” che si
giocava su una strada in discesa con un pezzo di corda ed un cilindro di
legno. Per i più bellicosi c’ erano poi i giochi guerreschi come ” lu
schiuppitte ” che era fatto da un pezzo di canna comune, un rametto
flessibile, e per la “carica” dei cilindretti di legno. Con questa arma
ecologica ed innocua organizzavamo appassionate gare di tiro al
bersaglio o spietate caccia alle mosche. Uno dei più violenti era invece
” lu fetta-prisciutte ” , molto apprezzato dai più dispettosi. La
dinamica era semplice perché si doveva colpire con uno schiaffo la mano
sporgente dall’ ascella del prescelto che voltava le spalle all’ intero
gruppo. Il colpito doveva indovinare l’ autore dello schiaffo che
avrebbe preso il suo posto. Il più pericoloso era senza dubbio la ”
mazzafionda” , che imitava la fionda biblica, la stessa con cui David
uccise Golia. Questo strumento-giocattolo era molto utile per lanciare i
sassi a distanza , spesso per richiamare i capi di bestiame che avevano
sconfinato. Quando lo usavamo per giocare a ” guerra” ci lanciavamo
palle di fango o di neve tra di noi. C’ erano anche giochi che imitavano
il mondo circense come i trampoli . Si facevano con due rami robusti,
tagliati in modo che due appoggi per i piedi sporgessero all’ interno.
Con l’ aiuto di un compagno si saliva sopra tenendoli ben stretti al
corpo con ambedue le mani. Si facevano poi corse gigantesche per i prati
o per le aie rischiando cascatoni impressionanti. Costruivamo poi
giocattoli ” scientifici ” come la ” ventarola ” con un’ elica di latta,
ricavata da un vecchio barattolo, infissa su di un bastoncino per poi
esporla al vento sui pali delle palizzate o dei fienili. Praticavamo
anche giochi atletici primordiali e divertenti come ” lu sarda-fusse ”
ovviamente si dovevano saltare i fossi, possibilmente con l’ acqua
dentro, con inevitabili risate per chi finiva dentro l’ acqua, pure con
un solo piede e che dire dell’ arrampicarsi sugli alberi a chi arrivava
più in lato e le capriole fra i prati appena falciati ficcando il capo
sui mucchi di fieno odoroso. Anche portare il pranzo al babbo su all’
alpeggio era un allenamento giocoso. Via in salita con lo zaino sulle
spalle carico di cibarie e poi salutato il genitore ci gettavamo a
perdifiato giù in discesa con il bottiglione del latte sulle spalle.
Questi erano gli allenamenti-divertimenti del mio amato mondo
contadino-pastorale, ironico e semplice, caldo e profondo, velato d’
ironia, che non si era ancora arreso all’ industrializzazione, alla
boria presuntuosa dell’ uomo moderno, potente, aggressivo, distruttore e
dalla prosopopea saccente. Cadranno i miti ridicoli dell’ uomo moderno,
cadranno con l’ inesorabile fine delle materie prime, arriverà l’
inesorabile rivincita della natura. Allora via … ” a tutta callara ”
verso l’ inevitabile sperando un’ improbabile rivincita dei tempi
antichi, degli Dei caduti, stando ben attenti ad ascoltare la voce del
passato, a capirlo bene, fino in fondo : ha molte cose da dirci !
Vittorio Camacci