Questa è una storia di tanti anni fa, quando le strade del mio paese
erano ancora brecciate ed erano percorse da pochissime automobili, molte
bestie da soma, armenti, greggi ed i lampioni erano piatti rovesciati
con lampadine incandescenti, quindi la luce che illuminava
principalmente la notte era quella della luna. Quella sera faceva
freddo, come non ne fa più ormai da anni, i fiocchi di neve scendevano
leggeri come tante stelle cadenti, coprendo di silenzio tutto il paese
ed il paesaggio. In quel mare ovattato, solo, un uomo camminava in
strada, il pastrano bagnato dalla neve, il viso incorniciato da una
barba lunga che lo accompagnava ormai da anni mentre un grosso cappello
era calato su chissà quali pensieri. Camminava, si, ma sembrava non
sapere dove andare, non aveva una direzione precisa da seguire.
Camminava per non sentirsi solo, nella speranza di incontrare qualcuno
con cui scambiare quattro chiacchiere, il suo cuore solitario aveva
bisogno di calore ma nel paese erano tutti troppo impegnati nelle loro
cose e nessuno aveva la sensibilità di vederlo. Dietro i vetri appannati
della mia casa, i miei occhi di bambino guardavano meravigliati i
fiocchi scendere lenti sulla strada, seguendone il volo. Poi il mio
sguardo si posò timidamente su quella figura che camminava stancamente
sotto un cappottone militare. Scesi in strada velocemente, raggiunsi il
vecchio e gli chiesi : ” Ma tu, chi ji ? Cumma fè a camminè sotte a sta’
bufera de neve ? ” L’ uomo ormai solo da troppo tempo, non riusciva
quasi a parlare e l’ unica cosa che scaturì dalla sua bocca fu l’
accenno di un timido sorriso. Lo presi per mano e, commosso corsi in
casa per chiedere a mia madre e mia nonna il permesso di ospitare quello
strano signore. Mia nonna Checca, che era paralizzata e sedeva su una
poltrona di vimini , lo salutò e mi disse che lo conosceva bene, da
giovane aveva fatto il pastore per tutto il paese, ordinò a mia madre di
apparecchiare la tavola e versare al vecchio del minestrone caldo in un
piatto fondo. Mia madre ubbidì ed esegui il tutto con una sveltezza
inimitabile : ” Buon appetito Ettore ! ” Disse al vecchio sussurrandogli
anche altre cose all’orecchio. Mentre mangiava io lo guardavo
affascinato, c’ era qualcosa di tenero e dolce nel suo sguardo
solitario. Ogni tanto egli sospirava facendomi un piccolo sorriso.
Finito di mangiare la minestra, si alzò lentamente, si scaldò le mani
vicino al fuoco del camino, fece un accenno di saluto a mia nonna e
tornò in strada. Di corsa, mi affacciai di nuovo alla finestra per
vedere la sua ombra allontanarsi nella neve. Quella fu la prima e l’
ultima volta che lo vidi.
Vittorio Camacci