Panacciò faceva il fornaio nel negozio di famiglia, si alzava ogni mattino alle tre, sicuramente anche prima, per preparare il pane ed era divorato da un’ incontenibile passione per la montagna che a volte lo portava a chiudere il panificio, con le scuse più stupide, per arrivare, ancora a notte fonda in montagna ad aspettare l’ alba e veder spuntare il sole all’orizzonte, provando un fremito indescrivibile che gli riempiva i vuoti creati dal duro lavoro notturno. Ci incontravamo spesso, la gente che pratica la montagna in genere non ha una maschera, perché lassù viene fuori la nuda natura delle persone: il pauroso si vede subito e si vede subito l’ egoista. Con chi frequenta la montagna viene la vera amicizia. Un giorno d’ autunno salì ansimante verso il Vettore per raggiungere il Lago di Pilato, malgrado ci fosse stato tantissime volte era particolarmente affascinato da quel catino glaciale ricolmo d’ acqua in quasi tutte le stagioni, da quelle due pozze asimmetriche racchiuse in una stretta valle ai piedi di una morena che scendeva da Pizzo del Diavolo a quasi 2.000 metri di altezza, dove anticamente venivano indovini, negromanti, stregoni e maghi nella speranza di stipulare patti con le forze demoniache e consacrare libri magici. Il mattino dipingeva l’acqua di colori autunnali ed improvvisamente dal bordo sassoso che circondava la pozza più grande, sfarfallò nel cielo un piccolo essere alato che rubò lo sguardo del fornaio e fece scattare in lui una strana curiosità. Girò lo sguardo tutt’ intorno, dalla cima dei detriti di falda, fino alla ” Guardiana del Lago ”  ma non riuscì a scorgere nulla. Tutto questo gli creò un misto di ansia e rabbia che lo fece tornare per molte volte , tutte quelle che il lavoro gli permetteva, a rivisitare il lago per vedere di nuovo volare quello strano essere alato.

Venne la neve, il ghiaccio e le giornate corte e grigie. A dicembre, poco prima di Natale, tornò di nuovo al lago, pur sapendo che il suo era solo un sogno, una sensazione, un vago ricordo. Adesso quello che per lui era importante non era tanto la conquista della vetta, era il tu per tu con roccia, con la neve, con il ghiaccio, che era insostituibile: toccare, vedere, gli odori, i colori ed il contatto con la natura. Il suo cane gli ciondolava tra i piedi, stanco e distratto. Appena sceso dal sentiero sassoso si affacciò da un grosso masso che apriva la vista sulla pozza più grande e gli sembrò di vedere una bella fanciulla in miniatura munita di ali trasparenti, ai bordi del ghiaccio che ricopriva il laghetto, immobile con un piedino conficcato nella lastra trasparente e vitrea. Si avvicinò incredulo e guardingo. La fanciulla era lì, esile, eterea, impaurita dal cane che la guardava imbarazzato, con dei bellissimi occhioni da cerbiatta, umidi e roteanti, a cercare disperatamente una via di fuga. La gambina imprigionata nel ghiaccio era arrossata e gli era impossibile liberarla da quella morsa letale. Il fornaio, dopo il momento di stupore, si avvicinò cauto, la prese fra le mani e scavando con l’aiuto della piccozza la liberò da quella terribile morsa. La strana fanciulla lo guardava impaurita, ruotando la testa ed allungando il collo esile per riprendersi da quel terribile momento. Il fornaio si commosse, l’accarezzò delicatamente e senza pensarci, con gli occhi umidi per l’emozione, la liberò nell’aria grigia guardandola sparire al di là dei dossi pietrosi, mentre un forte sentimento gli stringeva il torace.

Tornando contento come chi sa di aver fatto una buona azione, si premurò bene nel non raccontare l’accaduto ai suoi paesani che si scaldavano intorno alla stufa, nel bar del paese. Anche se fosse stato parecchio convincente nessuno avrebbe creduto ad una storia così strana, così inverosimile, così fantasiosa. Nei tempi a seguire, ogni volta che il fornaio entrava nel bar del paese continuò a raccontare le sue storie di montagna trattenendosi ed avvedendosi sempre nel tralasciare l’avventura di quell’ inverno.

Nell’ agosto di due anni fa, per colpa del terremoto, Panacciò ha perso il suo forno e la sua casa, dove per anni insieme alla sua famiglia aveva prodotto pane, pizza e dolci per tutta la zona. Il fornaio ha sofferto molto durante tutto questo periodo ed adesso i suoi sonni sono disturbati dalla presenza di quei ” mostri d’acciaio ” che implacabili divorano quel che resta delle nostre case, dei pezzi delle nostre vite. Io non credo che lui sia ancora capace di sognare e di fantasticare ma voglio sempre immaginarlo con gli occhi socchiusi mentre sogna di una fata imprigionata nel ghiaccio del Lago di Pilato, in un giorno di dicembre. Una fata bellissima e dolcissima, una fata del Natale che per ringraziarlo di averla liberata con il suo generoso gesto d’ altruismo gli faccia avere magicamente per regalo un forno tutto nuovo dove cominciare una nuova vita.

L’ AMICO PANETTIERE

Io ho un amico, un grande amico

Un tempo lontano, lontano camminavo al suo fianco

vedevo il suo cuore come si vede il vino nel vetro

Egli offriva agli uomini il Pane della Verità

un pane che da conforto

un pane che sazia l’ anima.

Oggi ho un amico panettiere

che non può permettersi il lusso

di un’ elemosina quotidiana

chiede solo di far pane

” Cummà, è cutte lu pà ”

” Mizze cutte e mizze abbrucete ”

” … e di chi è la colpa ? ”

Giro, giro tondo

il pane è cotto in forno

è cotto e profumato

il fornaio l’ ha impastato

ha preso acqua e farina

e di lievito una puntina

ha fatto pan bianco e pan nero

per sfamare il mondo intero

                       Vittorio Camacci