Alberto e Nazzarena si amano, si amano ancora oggi dopo 65 anni di matrimonio ed una vita fatta di emigrazione e di fatica. Eppure Alberto e Nazzarena non erano neppure destinati l’ uno all’ altra. Lui era partito per il Belgio nel 1951 quando il governo di quel paese e quello italiano di De Gasperi si erano accordati per un flusso di 2.000 lavoratori a settimana in cambio di una fornitura di carbone per l’ Italia. Alberto insieme a tanti paesani di Arquata del Tronto, più di cento, fu allettato dalle promesse scritte da una classe dirigente che aveva preparato a tavolino un’ ” emigrazione di Stato “. In uno dei tanti manifesti rosa che allora tappezzarono i bar e le piazze, incitando a partire per le miniere del Belgio con tante ( false ) promesse. Tutti i suoi compagni sono ormai morti, la maggior parte deceduti prematuramente a causa degli anni di insalubre lavoro sottoterra. Come per uno strano scherzo del destino chi decideva di partire veniva sottoposto a visite di controllo che selezionava le braccia più sane e più forti. La prima visita era italiana e veniva fatta a Milano, una seconda veniva fatta dai medici belgi. Si arrivava a destinazione dopo un lungo viaggio su treni di legno, carichi all’ inverosimile, spesso di notte scendendo al buio in stazioni umidissime. Prima di entrare nelle baracche ricevevano un regalo di benvenuto : un pacchetto di sigarette ed una tazza vuota. Si firmava un contratto truffa che ti vincolava per cinque anni e se ti ammalavi perdevi il posto. Ed in tanti si ammalavano o morivano d’ incidenti di lavoro perché quando il cancello si chiudeva con un colpo sordo, la gabbia partiva veloce verso il buio con un salto di quasi 700 e più metri. Con al collo un fazzoletto ed una lanterna del peso di tre chili affrontavi paurosi sbalzi di temperatura ed umidità in un viaggio nel cuore della terra dove la gabbia non era altro che un ascensore di miniera che ti portava in un viaggio da brivido verso l’ ignoto, verso un pozzo alto quanto un palazzo di 300 piani. Sotto era ancora peggio, era un inferno, cunicoli scuri, infiltrazioni d’ acqua,  ” motopique ” pesanti e rumorosi ed una polvere sottile, carica di silice, che respiravi e ti andava nei polmoni e te la portavi appresso per tutta la vita. Eppure Alberto superò tutte queste prove ed una volta ambientato provò a cercar moglie, ma le ragazze belghe che incontrava nelle sale da ballo non gli piacevano, troppo spregiudicate, troppo aggressive. Dopo i primi tre anni di lavoro, un giorno di ferragosto, preso da una forte ed improvvisa nostalgia tornò per una breve vacanza in Italia ed andò a trovare una sorella che gestiva un bar a Colli del Tronto. Qui conobbe casualmente Nazzarena che era figlia di contadini benestanti, era già destinata ad un falegname, unico erede di una famiglia abbastanza ricca. Fu amore a prima vista, uno di quegli incontri cosmici che ” Cupido ” fa scaturire con le sue frecce miracolose. Così Nazzarena scelse quel piccolo minatore arquatano che gli era entrato nel cuore sfidando le ire della sua famiglia ed un destino fatto di incertezze e fatiche in terra straniera. Come il ” Piccolo Principe ” capì che il necessario è invisibile agli occhi e seguendo la voce del cuore ha avuto un amore bello che è durato una vita, che gli ha regalato cinque figli eccezionali,  un amore vero e sincero , un amore morale e fedele che cominciava con un bacio al mattino davanti ad una tazza di latte e caffè, continuava il giorno con una lunga attesa presa dalle faccende domestiche e finiva la sera con sospiri di sollievo ed i racconti reciproci delle proprie faticose giornate quasi riscrivendo una canzone dei New Trolls con un lieto fine :

Le case, le pietre ed il carbone dipingeva di nero il mondo

il sole nasceva ma io non lo vedevo mai laggiù era buio

nessuno parlava solo il rumore di una pala che scava, che scava

le mani la fronte hanno il sudore di chi muore

negli occhi, nel cuore c’è un vuoto grande più del mare

ritorna alla mente il viso caro di chi spera

questa sera come tante un ritorno.

Tu quando tornavi eri felice di rivedere le mie mani, nere di fumo bianche d’ amore.

Oggi Alberto ha 93 anni ed ha le mani sporche di terra, quella terra che ancora coltiva e che sempre sognava quando stava nella ” Mina ” in Belgio. Alberto vive in una casetta di 40 mq nel villaggio SAE di Borgo 1 ed ha ancora sempre accanto Nazzarena ” la spagnola ” , Alberto è malato ma ha ancora gli occhi incredibilmente vivi ed accesi . Il Cielo ha premiato la sua onestà e gli ha donato una lunga vita ed un grande amore. Il suo rammarico e che la sua terra ed il suo paese non hanno fatto nulla, neanche una lapide, un monumento per ricordare il sacrificio di tanti minatori che con le loro braccia ed il loro sangue ed i loro 25 chili di carbone giornalieri hanno contribuito a rialzare l’ Italia del dopoguerra.

[ C’ era una volta un minatore, povero e con molti figli. Ogni notte incamminandosi a piedi, raggiungeva la miniera di carbone, scendeva nei pozzi insieme agli altri operai e imbracciato il piccone, scavava il minerale nelle viscere della terra. Tra martelli pneumatici, vagonetti trainati da locomotrici, nastri girevoli ed ascensori. Un lavoro davvero pesante. Un giorno il minatore, terminato il lavoro, più stanco ed afflitto del solito, lasciò il piccone, si sdraiò per terra, si prese la testa fra le mani per riflettere sulla sua triste vita. Pensava a sua moglie sola in casa, ai suoi numerosi figlioli ed al magro guadagno che non bastava a sfamarli. ” E’ veramente triste la mia vita ! ” si lamentò ad un certo punto”. In quell’ attimo qualcuno chiamò il minatore per nome. L’ uomo rialzò la testa, volse lo sguardo intorno e vide un piccolo ” Mazzamurello “, un gnomo con un berrettino verde in testa e gli occhi vivaci che disse : ” non disperarti sono qui per aiutarti, so fare anch’ io il minatore. Se vuoi lavorerò per te, ma devi promettermi che ogni settimana dividerai con me in parti eguali la merce guadagnata. Voglio la metà esatta: ci stai ? ” Il minatore aveva spesso sentito parlare degli gnomi delle miniere e sapeva che essi erano piccoli geni che facevano miracoli, quindi non ci pensò due volte sopra e rispose : ” Ci sto ! ” Da quel giorno lo gnomo ed il minatore lavorarono insieme, scavando quintali e quintali di carbone. A fine settimana il minatore ebbe una merce dieci volte superiore a quella che solitamente riceveva. Corse dal  Mazzamurello e gli disse : ” Ho ricevuto tanto e tanto, dividiamolo a metà ! ” Il minatore prese a contare i soldini : uno a me, uno a te… dividendo esattamente a metà. Quando, dopo una settimana, ricevette di nuovo la paga, il minatore corse di nuovo dallo gnomo per dargli la parte convenuta. Un soldino a te, uno a me ma questa volta alla fine restò un soldo ed il minatore disse : ” questo non si può dividere, prendilo tu! ” non, no ” disse lo gnomo ” un soldino è roba di nulla, puoi tenerlo tu ! ” Il minatore allora prese una tenaglia e spaccò il soldo in due e ne diede metà allo gnomo. Il ” mazzamurello ” allora roteò su se stesso e consegnò all’ uomo un caldaio contenente un grande tesoro appartenente all’ invisibile ” Mondo Sotterraneo “, felice di aver trovato per la prima volta nel mondo un uomo onesto ].

Vittorio Camacci