PASTORELLI

Canto allegro

Gioioso, assediante

Di coloro che vanno lontano

Con il gregge al fianco

La bisaccia ed il bastone

A volte sussurrano

Nenie lamentose

Lente come il tempo

Andranno in cerca di erba fresca

Tra i rovi ed i biancospini

Dietro i sassi ed i macigni

Torneranno col gregge ed i cani stanchi

Alle vecchie case di pietra grigia

Con un ” Cristo ” in braccia

Ed uno in spalla.

Tanto tempo fa a Pretare viveva una povera famiglia di pastori, la cui unica fonte di sostentamento era riposta in un piccolo gregge di dieci pecore che Rocco un timido ragazzo di 13 anni conduceva ogni giorno al pascolo. La sua giornata era lunga, cominciava di primo mattino dalla piccola stalla ai bordi del paese e proseguiva all’erba rada che cresceva in mezzo ai macigni ed ai sassi calcarei precipitati dalla cima del Vettore. Profumo e pace regnavano in questi pascoli e Rocco allietava le sue giornate suonando lo zufolo che si era costruito da sé. Un giorno distratto dalla presenza di Martina, una graziosa pastorella con il suo stesso destino, perse due pecore: la ” nerina ” e la ” sciancata ” e, disperato cominciò a cercarle, sua madre sarebbe andata su tutte le furie e gli avrebbe scaricato alcune frustate di nocella sulla schiena  se non le ritrovava e portava a casa insieme alle altre. Le chiamò a lungo, discese le coste rocciose fino ai prati verdi dove l’erba era più fresca, sempre nella speranza di ritrovarle. Il suo cane Biancone lo seguiva scodinzolando. Niente da fare non le trovò. Avvicinandosi al paese prese un viottolo nascosto perché la madre non si accorgesse di nulla, ma quella era già in attesa sull’uscio dell’ovile e quando vide il figlio che tornava con due pecore in meno prese il bastone di nocella e lo colpì con rabbia. Rocco più che mai desiderò di morire perché capiva di aver fatto un grosso errore mettendo a rischio le risorse della sua famiglia che viveva di latte, caciotte, agnelli e lana del gregge. Si ritirò a piangere nel fienile, dove decise di passare la notte per non subire l’ira del padre. Il giorno successivo Rocco decise di salire sui pascoli, prima del sorgere del sole, nella speranza di ritrovare le due pecore. C’era solo un vago chiarore nel cielo, quando in compagnia del suo cane, cominciò a salire per un sentiero tortuoso in mezzo ad un boschetto di cerri. Arrivato ad una piccola radura, sulla sommità di un colle, scorse sul lato destro della valle il padre di Martina che saliva con il suo mulo verso Galluccio. Rocco gli corse incontro raccontandogli la sua triste sventura. Angelo, così si chiamava l’uomo, gli raccontò che la sera prima aveva sentito belare sopra Prato Comune. ” Vieni con me che lassù stiamo facendo il carbone ” gli disse. Entrarono nel folto bosco ed arrivarono vicino alle capanne dei boscaioli che stavano lavorando lungo il sentiero. Tagliavano i giganteschi faggi a colpi d’accetta facendoli crollare al suolo con un tuono che faceva tremare la terra. Subito dopo li riducevano a pezzi con accette e roncole, infine li componevano con arte in modo da formare una carbonaia simile ad una cupola. Angelo scaricò la bisaccia vicino alla capanna e chiese ai compagni delle due pecore di Rocco. I boscaioli si misero a ridere e si avvicinarono minacciosi con le roncole in mano mentre il giovane indietreggiava impaurito . ” Allora erano di Rocco ” disse l’anziano caposquadra afferrando per un braccio il ragazzo. ” Per tua fortuna le abbiamo trovate noi prima che le sbranassero i lupi” . Roccò tirò un sospiro di sollievo , ringraziò Angelo ed i compagni e con le due pecore uscì dal bosco per tornare verso il paese. Sul sentiero incontrò Martina che andava verso i pascoli e gli raccontò la sua avventura promettendo di raggiungerla più tardi con tutta la sua greggia al completo. Tornato all’ovile rassicurò la madre e ” cacciò” le altre pecore, prese la ” sparretta” con la colazione e salì di nuovo verso la montagna. Girò in largo e lungo tutti i pascoli ai piedi del Vettore, fischiando di quando in quando, ma di Martina nessuna traccia. Cosa era successo ? Perché non la trovava ? La giovane simpatizzava chiaramente per lui ma, messa da parte la sua timidezza, aveva anche instaurato una particolare competizione con Rocco nel trovare le radure di erba più fresca tra gli alti pendii sulle balze della montagna. Rocco la scoprì con le sue pecore in una valletta incorniciata dai faggi con in lontananza la visione dei Monti della Laga. Ad un tratto Biancone iniziò a mostrare segni di nervosismo mentre le pecore cominciarono ad ammucchiarsi spingendosi le une alle altre. Ed ecco all’improvviso una sagoma scura che esce allo scoperto dal bosco. ” Un lupo solo ? Com’è possibile ? ” Pensò Rocco. Non era la prima volta che vedeva un lupo e coraggiosamente rimase fermo vicino a Martina nel tentativo di tranquillizzare la ragazza. D’ un tratto Biancone, abbaiando si scagliò verso il lupo che si stava avvicinando, rimanendo a metà strada tra la fiera ed i ragazzi, con il pelo irto e le forti e robuste zampe ben piantate nel terreno. A quel punto il lupo sedette sulle zampe posteriori e protendendo il muso allungato verso il cielo modulò un poderoso ululato che fece uscire altri due lupi dal bosco. All’improvviso si udirono alcuni colpi di schioppo, provenire da verso Forca di Presta ed ecco un lupo cadere immobile a terra in un guaito mentre gli altri si ritiravano ad ampi balzi nel bosco. Da dietro le rocce uscirono due strani tipi , vestiti con ampi mantelli ed armati di tutto punto. ” Siamo i ” lupari ” di Aversa, da un po’ di giorni siamo stati ingaggiati dai pastori di Castelluccio per dare la caccia a quel branco di lupi che ha fatto un sacco di danni sulla Piana ” disse ai giovani ragazzi il più anziano dei due, che aveva una cicatrice sulla guancia sinistra ” Tornate a casa che il lupo lo prendiamo noi , sapete, quelli di Castelluccio ci pagano solo se vedono la carcassa al centro della piazza del paese “. I due ragazzi si guardarono in silenzio, si abbracciarono, radunarono le pecore e tenendosi per mano tornarono verso il paese. Quando furono in vista delle prime case, Rocco colse un bocciolo di rosa che sporgeva da una cancellata e la porse a Martina prima di stringerla in un ultimo abbraccio. ” Non raccontare niente a nessuno, altrimenti prendo altre frustate di nocella ! ” Si fece promettere azzardandosi a sfiorarle una guancia col dorso di una mano. Martina annuì incurvando le labbra in un sorriso timido per poi correre leggera verso casa.

Vittorio Camacci