Pozza è un piccolo paese di montagna, sito nell’Alta Valle del Garrafo, sopra ad Acquasanta Terme, colpito anch’esso dal terremoto del 2016. Nel giro di qualche lustro la popolazione del paese si è dimezzata ed i servizi essenziali per l’intera comunità sono ormai ridotti al lumicino: niente scuola, niente ufficio postale, zero servizi sanitari e solo due corse giornaliere di trasporto pubblico garantite da un’azienda locale. Ma l’intero vecchio paese addormentato da secoli sul fianco della montagna non ci sta e dopo anni di riflessione rimprovera la sua gente e si ribella a questa condizione. I suoi boschi lo hanno protetto, riscaldato e gli hanno dato cibo, le faglie di arenaria gli hanno regalato la possibilità di creare ponti arditi, fontane scolpite, piazzette dagli spazi giusti e vicoli stretti. Il bosco e la natura impervia sono il suo vestito, fossi e strade le sue scarpe. Case e chiesa il cuore e l’anima. Dove erano campi di grano e patate adesso ci sono rovi ed incuria, dov’erano cantine e stalle adesso ci sono porte chiuse, silenzio ed abbandono. Quante case vuote, quanta ricchezza perduta dove una volta c’era un brulicare di rudi montanari tra case antiche e tanta gioventù. Proprio a quei tempi, qualche decennio fa, qui viveva una famiglia di pastori, gente per bene, grandi lavoratori. Un giorno di sabato, nel periodo di Carnevale accadde un fatto che commosse, colpì e sconvolse l’intera comunità e che ancora è tema di pettegolezzo tra le vecchie comari. Questa famiglia aveva due figlie : Antonietta di 18 anni che si frequentava con un baldo giovane boscaiolo, aitante e forte che si chiamava Ortenzio ed aveva una ventina d’anni, la cui famiglia era considerata anche ” brava gente” . L’ altra figlia era Caterina di 25 anni, di gentile e bell’aspetto ma ribelle ed anticonformista e per questo considerata per le abitudini del luogo ormai troppo ” zitella” e ” sforastica”. Piano, piano, col passare del tempo ed il benestare delle rispettive famiglie, Ortenzio cominciò a frequentare la casa della famiglia di Antonietta ma i due potevano vedersi, com’era allora usanza, solo in presenza dei genitori di lei. A volte, però, quando questo non era possibile, i genitori affibbiavano a Caterina la responsabilità di sorvegliare la sorella più piccola. Con i suoi grandi occhioni neri e dolci, vispi ed intelligenti, Caterina controllava i giovani fidanzati a tutela dell’onorabilità della famiglia ma non sapeva che quel suo gesto di garanzia invece aveva trasmesso gioia ed aveva parlato al cuore di Ortenzio con un frainteso ” Ti voglio bene”. In quel primo pomeriggio di sabato, dopo essersi occupata della casa ed aver preparato da mangiare, il padre l’aveva mandata ad accudire le pecore nella stalla. Era un pomeriggio caldo più del solito, il sole splendeva alto nel paese ed il vento soffiava lieve e leggero, sciogliendo gli ultimi rimasugli di neve rimasti ai bordi delle stradine del paesello, dove non girava nessuno. Caterina aveva incrociato solo un’ anziano che lentamente rientrava con una soma di legna trasportata sul basto da un somarello. Presa da un presentimento la giovane si affrettò ad aprire la porticina della stalla, accarezzò sul dorso quasi tutte le pecore, le accudì e chiuse la stalla per tornare a casa. Non ebbe il tempo di fare alcuni passi che udì il suono di un’ organetto ed il cantare degli stornelli sulle note del saltarello. ” Oddio gli Zanni “, pensò,  trasformando il suo passo leggero quasi ad una corsa. Non ebbe il tempo di svoltare verso casa che vide la coppia di sposi circondata dagli ” Zanni” , ormai ubriachi, con le “staie” in mano ed i variopinti copricapi pieni di strisce di carta velina frusciante. Ebbe appena il tempo di accostarsi ad un’ uscio mentre passava il diavolo, con le corna finte di montone, rovistando con un forcone le pietre del  selciato, tenuto legato ad una corda da un figurante vestito da guardia. Si appiattì di spalle sulla porta dell’ uscio, ma uno ” Zanni” la vide con la coda dell’occhio e si avvicinò a lei. Caterina riconobbe il viso dietro il velo nero che copriva la faccia, era Ortenzio. ” Sei una vecchia zitella”, gli gridò colpendola con la ” staia” sul lato del sedere. Caterina, presa dalla rabbia, ebbe la forza di spingerlo indietro ed Ortenzio che aveva tracannato parecchio, perse l’equilibrio cadendo sul selciato. Dalla sommità del lungo cappellone a cono si staccò una foto e Caterina vide che non era quella di sua sorella Antonietta ma la sua. L’ afferrò immediatamente, la strinse al petto e singhiozzando amaramente scappò verso casa.

                                             Vittorio Camacci