“Piova”! Seguirono attimi di silenzio e nessuno osava ribadire all’ affermazione che il vecchio N’dò aveva fatto scrutando il cielo. Non ci si faceva caso, allora nessuno aveva fretta ed il lento passare del tempo era un fatto normale e piacevole. Finalmente l’ultraottuagenario Gigge sollevando leggermente il capo e smettendo di sgranocchiare il rosario disse: “ N’dù piova”? Poi con calma intervenne il vecchio Giustino: “ In qualche parte sicuramente piova”! Rispose Gigge: “ Stamatina la nora mì s’è alzata chi lu cule dritte v’ha finì che vujia piova veramente”! e N’do pronto a rimetterci il carico: “Pè forza che la nora tì era n’cavulata si veda che stanotte lu jelle n’ha cantate”! Era una giornata di luglio molto calda, le persone erano tutte chiuse in casa o al lavoro nei campi. I nostri tre vecchietti , d’ altro canto, avevano lavorato tutta la vita e ora se la spassavano all’ ombra di una grande quercia seduti su una panchina di legno davanti al belvedere del paese, potendo vedere i rari passanti e magari, scambiare qualche chiacchiera con loro. I tre si ritrovavano lì la mattina presto perché uscivano di casa con il fresco, dopo la colazione, infatti come tutti gli anziani dormivano poco e si svegliavano all’ alba. Verso mezzogiorno quando il caldo diventava insopportabile rientravano in casa per poi ritrovarsi verso le quattro del pomeriggio portandosi, magari, un fiasco di vino. Erano belli quei tre vecchietti ed erano rispettati da tutti anche se spesso ripetevano le stesse cose. N’do era un po’ sordo e quindi parlava forte, aveva una corporatura robusta, le guanciotte rosse e due piccoli occhietti “infossati” che si muovevano continuamente e gli davano un’ aspetto curioso. Giustino era invece piccolo e magro con la pelle tutta raggrinzita, da giovane aveva fatto il minatore in Belgio. Era quasi cieco e tossiva spesso. Gigge era invece il più arzillo ma quando si alzava dalla panchina barcollava e faceva fatica a camminare e così si aiutava con un bastone e si muoveva a scatti facendo piccoli passettini. Mentre gli altri due fumavano la pipa o il sigaro per passatempo, lui teneva in mano un rosario che sgranocchiava continuamente. Come la sua famiglia era un fervente cattolico, andava sempre alla messa e recitava il rosario. Gli altri due erano acerrimi comunisti e spesso lo prendevano in giro: “ Ch’in tutte sii prighire ve sicure n’Paradise, sempre chi San Pitre nin si rompa lì cugliù “! Lui rispondeva: “ Vù ijte sicure all’ inferne”! Gigge, inoltre, aveva un problema, quando parlava emetteva un leggero fischio. Ciò era dovuto alla mancanza della dentiera, non si era mai adattato a portarla e gli faceva male quando masticava, allora, la metteva solo la domenica per andare a messa. I nostri tre vecchietti passavano insieme il tempo ed era un piacere vederli ed ascoltarli mentre alternavano lunghi attimi di silenzio a qualche breve domanda o affermazione alla quale, ogni tanto, dopo un lasso di tempo qualcuno rispondeva mentre il canto dei grilli e delle cicale faceva da sottofondo. Quando passavo da quelle parti mi salutavano sempre con un cenno del capo, toccandosi il cappello con la mano. Una volta ho sentito Gigge dire: “ Quanne mi more, mi facce mette sotteterra”! Passarono un paio di minuti e Giustino rispose: “Iji so più muderne mi facce mette su lù furnitte”! Ancora un lungo intervallo e N’dò affermò: “ Chi n’tutte lu vì chi mi so bevute, iji mi facce mette dentre a nà botte”!
Vittorio Camacci