PIAGGIATOR LECCHINO MAI
Dicono che il sogno è finito
Io continuo a sognare queste valli
I sentieri abbandonati intorno a casa
I pascoli che si perdono nella macchia
I miei occhi si sono fatti sogno
Di queste montagne, di questi declivi
Dell’infinito cielo azzurro.
Voglio ragionar con il mio cervello
Leggere, studiare e lavorare
Sempre con dedizione e con passione
Non salirò mai sul carro del vincente
Non seguirò i falsi miti
Difenderò la natura e le sue creature
Sarò libero, etico e tenace
Animato da spirito ribelle
Guerriero e paladino di ventura
Mi getterò sempre nelle battaglie
E scalerò mille montagne
Guaderò altrettanti fiumi
Così da vecchio non avrò rimpianti
Rimorsi e peccati da farmi perdonare.
Sono stato felice, anzi ricordo di essere stato sempre felice. Durante l’epoca dei movimenti studenteschi ero troppo piccolo, troppo giovane per comprendere gli anni di piombo, l’epoca delle brigate rosse e delle stragi nere. Sono cresciuto nella libertà assoluta di un paesino di montagna potendo giocare ore ed ore in piazzette, vicoli, stradine di campagna e boschi. Sono andato a scuola con il grembiule e la cartella di cartone colorata di marrone per sembrare di cuoio. I miei genitori non si aspettavano niente di grande da me che non fosse di fare i compiti, aiutare nei lavori in campagna, sbucciarmi le ginocchia senza lamentarmi e non mettermi nei guai con le cattive compagnie. A casa non avevamo il telefono e le prime chiamate alle fidanzatine le facevo con i gettoni delle cabine. Il mio primo esame importante è stato quello di maturità, nessuno mi ha chiesto di andare oltre, per me l’università era impossibile non avendo nessuna risorsa economica. Tutto quello che mi chiesero i miei genitori fu quello di trovare un lavoro, una fidanzata, insomma che fotocopiassi la loro vita. Invece ho sempre inseguito la libertà nella spensieratezza assoluta, ho sempre seguito i miei sogni. Ora sono stanco, stufo e nauseato da tutto quello che succede nella nostra terra. Non mi va bene né la situazione politica e governativa né quella intellettuale ed ideologica (praticamente inesistente ). Sono insofferente al potere vigente, piccoli tiranni che abusano della nostra pazienza ed approfittano dell’emergenza. Sono disgustato dall’omertà delle istituzioni e dalla loro demagogia umanitaria. Ritrovandomi anche insoddisfatto dell’evanescente pochezza delle opposizioni e dalla loro inefficacia. Nell’attesa fiduciosa di una svolta, di un salutare cambiamento ho deciso di prendermi una via di fuga, una migrazione interiore, mentale e sentimentale. Il mio è uno sdegnoso rifiuto alla dominazione sotto cui viviamo, per cui riparo ai margini della nostra terra. Desideroso di sottrarmi a una specie di arresto domiciliare nelle SAE, mi allontano tra i boschi e le forre distante dai clamori molesti del giorno. E’ il mio modo di sfuggire al dispotismo locale ed ai suoi collusi scagnozzi. Mi rifugio nel ventre materno delle montagne, rifiutando questo modo di convivenza antiquato e barbaro, senza abbandonare gli affetti ed i luoghi più cari. Questo è l’unico modo che conosco per sottrarmi al carnevale penoso in cui ci ritroviamo a vivere ed ai suoi sciocchi obblighi. Così mi sottraggo a ogni complicità con questo potere cialtrone ed alle sue propaggini e non firmo alcuna cambiale in bianco ad oppositori poco affidabili incapaci di dare migliori garanzie per il domani. Per questo mi rifugio nella mia autonomia: la resistenza come autarchia. Così emigro con la mente e con il cuore da questa mia amata terra, senza abbandonarla, elevandomi ad asceta ed eremita, sfuggendo alla gabbia che ci è stata imposta.
Vittorio Camacci