Oggi mi sembra ieri, ieri sapevo come sarebbe stato oggi. Odio la politica, odio i luoghi comuni, odio le false promesse ed il servilismo perché dietro tutto questo si nasconde il vuoto e l’avidità, si cela un giro di denaro destinato ad arricchire i soliti sfruttatori. Io amo la poesia, essa si nutre di parole vere mentre la retorica politica si riempie di paroloni gonfiati dal nulla e dall’ inganno. La poesia, invece ama la verità, soprattutto quando è scomoda, la poesia è una sedia rotta. Oggi quando sento i politici locali che parlano di ricostruzione del sociale, che parlano di turismo sostenibile, che parlano di inclusione, mi viene da ridere. Perché io li conosco, dietro le quinte ti confessano candidamente di farsi i fatti propri, sono stati sempre disuniti, tra clan famigliari, tra frazione e fazione, si sono sempre abbracciati, ma per stritolarsi. Dove sarebbe questa fantomatica unità comunale, quando ognuno ha portato solo e sempre acqua al suo mulino. Lo hanno dimostrato i fatti, in questi posti non c’è cultura sociale e senza cultura non può esserci democrazia. Noi siamo un popolo di somari che vive sotto la dittatura dell’ignoranza e un cittadino ignaro è facilmente manipolabile, si crede felice quando gli viene concesso un piccolo privilegio. La felicità è un’altra cosa, è filosofia allo stato puro, è consapevolezza, è rivendicare i propri diritti senza prostituirsi. La felicità che noi crediamo di aver raggiunto è la stessa di Pinocchio e Lucignolo, è quella degli asini. In questo nostro mondo, ormai brutalizzato dal dio denaro non esiste più felicità pura, esiste solo godimento e tutto ciò puzza di falsità. Scendete per strada e chiedete al primo che passa di spiegarvi la sua vita nel post-terremoto, vi dirà che va tutto bene, non vi dirà mai dell’immondezzaio di banalità rivoltanti che lo circonda, delle bugie faziose che sente ogni giorno, delle sentenze comode che ascolta dagli altri. Ecco come ci siamo ridotti, ormai siamo gente senza pudore, gente da barzelletta. La nostra vita ha preso un indirizzo sbagliato, siamo diventati schiavi di un sistema. Fuori dalle finestre delle SAE si intravede un nuovo deserto, ora ci sentiamo stranieri in case di marzapane e non cerchiamo più la verità, sincerità ed autenticità senza menzogne. Riesco anche a prevedere il nostro futuro, non torneremo più quelli di prima saremo sempre più incazzati, affamati di bugie. Avremo paesi tutti nuovi, saremo collegati con la “fibra”, negozi, ristoranti e saracinesche aperte, torneranno le sagre e le feste di paese. E via, di nuovo tutti dietro il piacere con rinnovata energia, senza spessore, soprattutto eviscerati, senza più sangue del nostro abbandono, senza resistenza al sistema che ci vuole distratti e senza pensiero. Oggi è sempre ieri, domani sarà peggio di oggi, sono poche le nostre certezze, la dignità che ci avevano orgogliosamente tramandato i nostri avi non esiste più, siamo diventati mediocri nell’ incertezza di un tempo sospeso. L’orgoglio arquatano è andato a farsi friggere, le nostre insegne raggiungono la sfilata della Quintana, si inchinano di continuo ed il giorno dopo tornano nel buio di uno stanzino. Sono, ormai, simbolo di perdenti, non siamo più quelli che strapparono il SS Salvatore indomiti ai dominatori, ora ce lo siamo fatti sfilare a mano salda, sotto gli occhi, senza battere ciglio, come dei fessacchiotti. Passano i giorni, le settimane, i mesi e gli anni eppure sembra sempre così ieri. Ci è negata la libertà, dalle paure che ogni giorno chi ci governa ci ha inculcato nel cervello, lavandolo e sterilizzandolo da ogni desiderio, di ogni voglia, da qualsiasi istinto. Certo, vincere non è l’unica cosa che conta, a volte bisogna perdere per rialzarsi più forti di prima. Dobbiamo decidere se svegliarci dal nostro torpore o continuare a subire, anche la morte, senza volerla.

             Vittorio Camacci